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                                                                                 BellariaI.M., 24-08-2021

 

Il sonno della ragione

 

«Nella personalità di ogni individuo c'è un lato nascosto, oscuro, normalmente represso che, se liberato, ci trasformerebbe in criminali, in crudeli assassini e pericolosi delinquenti.»

Sigmund Freud

 

Di recente il noto psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi ha dichiarato pubblicamente di avere ricevuto una proposta indecente: quella di farsi iniettare un finto vaccino Covid-19. In pratica un placebo. Forse perché i personaggi che occupano una certa posizione nella società hanno il diritto/dovere di evitare determinati «rischi», lasciando a tutti gli altri il ruolo di Porcellini d'India?

Credo davvero sia inevitabile che la giustizia italiana si occupi di affermazioni tanto gravi, perché se non sarà così potremo considerarci prigionieri di una nuova dittatura, conclamata e vestita di bianco (anche se il colore conta poco).

 

Cercando sulla rete immagini di uno dei periodi più neri della storia umana ho trovato alcune foto di Mengele, di altri «sanitari» nazisti sadicamente sorridenti e di alcune loro vittime tra cui bambini. Ne ho postate alcune su facebook e giustamente me le hanno censurate all'istante (confesso che lì per lì non mi sono reso conto che potevano urtare la sensibilità di qualcuno). Quelle foto sono come «opere d'arte» che solo oggi svelano il loro pieno significato, un significato che in ogni caso è sempre stato sotto gli occhi di tutti: la scienza è una cosa, gli scienziati un'altra! Mengele a parte, voglio ricordare Herta Hoberheuster, medico tedesco, che tra le altre cose partecipò a più di 80 esperimenti condotti su decine e decine di donne, perlopiù prigioniere politiche. Inoltre uccise numerosi bambini con iniezioni di barbiturici rimuovendo parti delle loro membra e organi vitali. Voglio ricordare Walter Freeman, medico e neurologo statunitense, precursore della lobotomia come «pratica medica curativa» e che si dice abbia praticato numerosi interventi inutili dal punto di vista terapeutico lasciando ai pazienti ferite incurabili (il pensiero non può che andare alla clinica «Santa Rita», che in tempi molto più recenti è salita sugli altari della cronaca per certi orrori che vi compivano alcuni... medici persino molto qualificati!). Voglio ricordare Harold Shipman, un medico di famiglia «come tanti altri», che uccise la madre praticandole un'overdose di morfina per ereditarne il denaro. Voglio ricordare Michael Swango, medico statunitense, colpevole della morte di alcuni sanitari suoi colleghi e di tre pazienti avvelenati con l'arsenico. Voglio ricordare i fattacci verificatisi all'ospedale di Saronno, città che conosco molto bene, dove un anestesista e vice-primario del pronto soccorso, con la complicità della sua amante infermiera (poi condannata a 30 anni di carcere), ne ha combinate di tutti i colori tanto da meritare l'ergastolo in primo grado. Voglio ricordare John Bodkin Adams, medico generico irlandese, accusato di avere assassinato 163 persone avvelenandole. Per cambiare area del mondo voglio ricordare Shiro Ishii, medico giapponese che guidò il programma di armamento biologico dell'impero giapponese, responsabile di «sperimentazione umana» e crimini di guerra. Voglio ricordare Carl Clauberg, medico tedesco che condusse esperimenti sulla sterilizzazione usando come cavie le donne rinchiuse nei campi di sterminio di Auschwitz, affette da infermità fisiche e mentali per il resto della loro vita (quelle sopravvissute). Ovviamente si trattava di «sperimentazioni coatte» (ricordo che esiste un codice di Norimberga contro le sperimentazioni coatte...). Ma voglio citare anche Sergej Brjuchonenko, scienziato sovietico, che manteneva in vita per ore teste di cani decapitate. E Il'ja IvanoviČ, biologo russo che provò a creare un ibrido tra la specie umana e la scimmia. Riguardo a Mengele, va ricordato che i più grandi scienziati del tempo (ripeto: i più grandi scienziati!) facevano a gara per lavorare con lui, come ci racconta «Il Foglio». Ma andiamo avanti (citando da «La Stampa»). Julius Hallervorde e Hugo Spatz, neuropatologo il primo e psichiatra il secondo, espiantarono e studiarono i cervelli di centinaia di bambini, adolescenti e malati di mente nell'ambito del progetto nazista che nel 1939 prescriveva l'eutanasia per i soggetti ritenuti «non degni di vivere». Nomi di altri medici nazisti: Hans Heppiner, Murad Jussuf Bei Ibrahim, Eduard Pernkof, Hans Joachim Scherer, Walter Stoeckel, Friedrich Wegener. E anche di alcuni propagandisti dell'eugenetica razziale e dell'eutanasia per i ritardati mentali (tutti «valori» che stanno tornando in auge nell'ambito di un recrudescente malthusanesimo?): Eugene Charles Apert, Wilhem His jr., Robert Foster Kennedy, Madge Thurlow Macklin.

Non tanto perché stiamo attraversando un periodo nel quale la sanità è al centro di speranze e polemiche mi sono «distratto» facendo un minimo di ricerca su turpi personaggi del passato. Non certo per voler screditare quello che di buono la stragrande maggioranza del personale medico e sanitario ha fatto, fa e spero farà per la collettività, quindi, mi sono speso in questa minima riflessione. Mio fratello è un anestesista a riposo e so che ha lavorato sempre con coscienza. Come lui ce ne sono molti altri e non sto certo generalizzando. Ma visti gli innegabili precedenti, e potrebbero non bastarmi i rimanenti giorni di agosto per continuare a citarne, lasciatemi almeno il beneficio del dubbio sui fatti che stanno accadendo. Considerando che politica governativa e scienza ufficiale si supportano scambiandosi informazioni e «consigli», in un rapporto oggi molto vicendevole ma non sempre alla luce del sole (vedi le omissioni nei contratti con Big Pharma), non credo si possa considerare stupido o, peggio, criminale chi esprime preoccupazioni per la piega che potrebbe assumere la strategia anti-Covid. Qualche area politica, presumo in buona fede, vede la pandemia come una «grande opportunità» per il futuro del mondo, come si evince anche dalle seguenti parole tratte dalla relazione di Fiano (PD) alla direzione del 26 giugno 2020:

«Nello scenario mondiale, la forza della Pandemia ha portato alla consapevolezza di una grande fragilità del mondo, ad una grande richiesta di protezione e ad una grande necessità di sviluppo complessivo.»

«L’epidemia muterà in senso permanente le forme del nostro stare nel mondo.»

«La crisi colpisce non già solo la dimensione finanziaria quanto piuttosto proprio l’economia reale, modificando quindi nel concreto modelli di vita personale e delle comunità, da quelle piccole a quelle nazionali e sovranazionali

«Possiamo dire anche, quindi, che l’esplosione della Pandemia, ed il suo andamento peculiare, nazione per nazione, sia servita da riscontro del tasso di coincidenza tra livello dei diritti umani e democratici in un paese, e capacità di gestione di grandi emergenze sociali.»

Non voglio dubitare a priori della buona fede di politici, scienziati, giornalisti e intellettuali, il cui compito non è sicuramente facile. Ma, tornando all'inizio di questa lettera-riflessione, nessuno può sottrarsi al dubbio. Nessuno può negare che lungo il difficile e tortuoso percorso umano si incontrino, periodicamente, fasi critiche. Vuoi per fatti imprevisti, vuoi per l'opportunismo di certi movimenti torbidi e nostalgici dalle radici profonde, vuoi per uno scadimento/scardinamento precoce di valori fondamentali, e poiché «nella personalità di ogni individuo c'è un lato nascosto, oscuro, normalmente represso che, se liberato, ci trasformerebbe in criminali, in crudeli assassini e pericolosi delinquenti», il rischio che anche la scienza (che non sempre ha guardato verso il cielo) sprofondi nuovamente nel freddo calcolo, all'insegna del “Chi siamo noi per limitare la natura”, regredisca verso dimensioni già conosciute riesumando speranze che a suo tempo sembravano foriere di un “mondo nuovo”, magari anche migliore, speranze le cui ali di cera dovettero però fare i conti con la luce accecante della verità.

La critica che faccio non è rivolta a nessuno in particolare. Non è rivolta alla scienza, e neppure alla politica, ma a un intero sistema pesante e complesso che rischia di soccombere a se stesso. Un sistema che non riconosca come gravissime le parole di Alessandro Meluzzi, che non ritenga ineludibile affrontale attraverso i necessari approfondimenti giudiziari, è destinato a perdere ogni credibilità. E siccome mi hanno sempre insegnato che conviene studiare la storia perché nel nostro passato c'è anche il nostro futuro, avverto in me la necessità di rafforzare il dubbio, poiché il sonno della ragione genera mostri.

 

                                                                            Davide Crociati

 

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