Bellaria Igea Marina, 15 Gennaio 2024
INFLUENCER
L'influencer viene generalmente definito «un personaggio di successo in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico». Al di là della tipologia del pubblico, il buonsenso che non è morto per volere di quattro scemi al potere (per quanto i quattro scemi abbiano molti proseliti, poiché il gregge è sempre numeroso) vorrebbe che se una scelta sia tale non debba essere pilotata, tanto meno da individui un po' troppo giovani per avere sapienza o anche soltanto conoscenze sufficienti, oltre che esperienza. Al riguardo, credo che a monte ci sia un problema: la pessima scelta di voler mettere il carro davanti ai buoi dando potere e (tanto, troppo) denaro a giovani tatuati, orecchinati e «artisti» solo grazie alla penna di critici e commentatori fatui e venduti. Checché se ne dica. In effetti si sta cercando di costruire un mondo al contrario, che a mio avviso non è quello denunciato da Netanyahu, né quello descritto dal Generale Vannacci (il quale – non faccio che esprimere rigorosamente un'opinione personale – nel suo libro tanto «discusso» non affronta questioni importanti come il recente TSO più o meno mascherato, che per un motivo o per l'altro ha messo in ginocchio l'intera comunità in un momento difficile quando, forse, per arginare il problema anziché farlo esplodere in tutta la sua drammaticità sarebbe bastato applicare il protocollo a suo tempo definito per la prima Sindrome Acuta Respiratoria Severa, la cosiddetta S.A.R.S 1), come hanno detto e ripetuto medici e scienziati tacitati con arroganza da un potere ormai dichiaratamente «orwelliano», scienziati e medici certamente non meno importanti di quelli che (dapprima perfetti sconosciuti) ci hanno voluto imporre attraverso i mass media, in un Paese in cui la verità non viene raccontata, vedi la questione “trattori a Berlino” (100.000!) per protestare contro le misure intraprese dal governo tedesco sull'eliminazione delle agevolazioni relative al gasolio agricolo e all'esenzione della tassa sugli autoveicoli per macchine agricole e forestali. «Giù la maschera» di Marcello Foa a parte. Qualche «malizioso» forse dotato di senno già parla di «Istituto Luce 4.0», riferendosi a un'informazione fallace che non ci ha raccontato la verità neppure sull'atteggiamento del governo israeliano rispetto all'obbligo vaccinale, o sulle proteste in Francia contro i portoni aperti a troppi migranti che «non si sentono francesi» e «il cui legame con i Paesi di provenienza è artificiale», come ha detto il filosofo Alain De Benoist, che qualcuno ha definito «un attento studioso dei temi dell'identità» (secondo Benoist il multiculturalismo ha semplicemente fallito).
Detto di questa informazione cieca e fuorviante, per sostenere la quale sono necessari giornalisti e uomini di cultura venduti al potere (in certi casi dichiaratamente, in nome di un presunto «giornalismo di guerra» che non raramente sconfina in una informazione truffaldina), come fidarsi dei cosiddetti «influencer» se anche il mondo della scienza deve fare i conti con uomini corrotti la cui spudoratezza fa loro mettere il denaro al primo posto e la salute dei cittadini all'ultimo, in barba a qualunque codice deontologico? Chi sta un po' attento a ciò che accade intorno non può non essersi accorto che, già da tempo, dai vertici di un sistema sempre meno a misura d'uomo e sempre più a misura di macchina, si cerca di attaccare quei principi morali che, basati sull'esperienza e sul buonsenso, hanno retto la parte migliore/meno peggiore del mondo che dio si voglia. Certo sulla parte migliore/meno peggiore si potrebbe aprire un lunghissimo dibattito, ne siamo tutti coscienti, ma ciò che sta accadendo (è una sensazione crescente anche a livello popolare, al netto del pecoraggio dilagante che ahimè sembra a un punto di non ritorno) come su un piano inclinato ci fa scivolare inesorabilmente verso un «peggio» dichiarato quanto inimmaginabile fino a qualche decennio fa, fatto di guerre e carestie, di misteriose «malattie x» e di norme internazionali orientate verso una dittatura sanitaria senza precedenti, ma anche verso un degrado progressivo della creatività (che non sia quella dei freddi e troppo sofisticati algoritmi!), della pedagogia scolastica, che inevitabilmente dovrà assestarsi su principi neoliberisti quantomeno discutibili (al cui centro c'è una competizione che neppure tanto per paradosso rischia di sconfinare in terreni illiberali, a proposito dell'uso oggi indiscriminato della parola «libertà») e di certa psicologia che sembra anche troppo tollerante verso i social adducendo motivi che sembrano allontanare dal centro delle questioni (è mai possibile risolvere il problema della dipendenza dai social invitando i genitori a lasciar fare i figli perché almeno su Facebook o Instagram – per citarne un paio – mantengono la sensazione di far parte di una comunità? Non sarebbe meglio agire nella comunità dal suo interno, affinché si creino maggiori spazi e interessi sani per le nuove generazioni? Evidentemente non è ciò che si vuole). E in un mondo sempre più «immersivo», in cui gli individui potranno interagire tra loro come se fossero fisicamente presenti (dicasi metaverso, e sottolineo «come se fossero») gli influencer cosiddetti non si limiteranno a consigliare prodotti e servizi ma andranno ben oltre (già lo fanno) orientando gli utenti più o meno fragili e inesperti verso ideologie insane, come quella degli «opposti» che oggi sta producendo l'effetto di annullare o depotenziare il pensiero critico, in una folle corsa verso quell'unica direzione che induce a dichiarare vero ciò che è falso o viceversa (all'inizio si parlava di «giornalismo di guerra» con tendenze truffaldine...).
Se per aumentare i seguaci su instagram al punto 3 si consiglia di «rubare follower alla concorrenza», ciò che sconcerta di più addentrandosi in questo mondo irreale è la sensazione di essere trascinati in una sorta di ludopatia, in un ambito in cui fare denaro diventa l'unico vero scopo dell'esistenza. Quando si parla di influencer l'attenzione di tutti cade subito sui guadagni esorbitanti della Ferragni piuttosto che di Ronaldo in campo. O di Khaby Lame, naturalizzato italiano, che nel corso del lockdown pandemico pubblicava video su Tk Tok nei quali il senegalese ballava e guardava videogiochi («non con la collera, col riso si uccide», diceva Nietzsche). Sembra che i suoi «ammiratori» ammontino a circa 81 milioni, e che per un post l'influencer dalla pelle scura (che non è diversa dalla pelle chiara), guadagni 325.000 dollari. Cifre da capogiro che portano bambini e ragazzi solo apparentemente precoci a illudersi di poter fare altrettanto, ed è forse questo il motivo per cui molti adolescenti spendono buona parte del loro tempo sui social, spesso trascurando lo studio col rischio concreto di perdere il contatto con la realtà senza rendersi conto che nel frattempo i treni della vita passano veloci e si fermano sempre più raramente, per via delle opportunità che si assottigliano in un mondo senza più fede (tranne che in certi «sieri magici» dietro i quali girano interessi da capogiro).
Anche sull'International Web Post si dice che in una società sempre più complessa e con eterni problemi legati all'occupazione, negli ultimissimi anni l'influencer è entrato di diritto nei mestieri più in voga, soprattutto dopo l'exploit della punta di diamante di questo nuovo ambito lavorativo, Chiara Ferragni: va da sé che sia desiderio di molti giovani emularla («Il piacere è il canto di libertà, ma non la libertà. È la fioritura dei vostri desideri, ma non è il loro frutto» - Khalil Gibran). Per dirla con franchezza, quanti sono coloro che potranno effettivamente raggiungere determinate cifre in termini sia di follower che di guadagno? Siamo alle prese con un fenomeno che assomiglia a una lotteria, con montagne di biglietti venduti e ben pochi vincitori. Ammesso ve ne siano, poiché è legittimo il sospetto che certi «personaggi» oggi costantemente sotto i riflettori non siano che figure costruite, imposte e sostenute da un'organizzazione planetaria il cui reale interesse sembra essere quello di convogliare tempo ed energie degli ingenui digitali per impedire loro di forgiarsi attraverso lo studio, la fatica, la tenacia, i progetti da perseguire, le delusioni, il desiderio di rivalsa e tutto ciò che può far crescere un individuo. Senza contare che la distrazione di massa passa molto da una miriade di «fenomeni mediatici» costruiti ad hoc.
«Il mondo antico e quello nuovo si scontravano frontalmente, senza che i “figli dei fiori” sapessero che tutto faceva parte di un progetto occulto ideato da menti perverse», ha detto un noto scrittore lituano. È la storia che si ripete secondo nuovi schemi? Forse è una fake anche la «dichiarata adesione» della Ferragni alla massoneria, ma lo sappiamo quasi tutti che la crescita di un individuo non può agganciarsi ai misteri e alle bizze di qualche influencer, prova ne sia il fatto increscioso della beneficenza legata alla vendita di costosissimi pandori, autentico sfregio al Natale inteso come festa religiosa (anche se il mio spirito garantista m'impone di non dare nulla per scontato, nonostante scandali come quello della presunta falsa beneficenza inquinino i social a prescindere), ma siamo arrivati al punto che sapere o intuire determinate cose non può più bastare, poiché nella gente comune prevalgono paura o insane abitudini, più facilmente entrambe le cose.
Per i digitali pressoché a tempo pieno l'influencer diventa una figura di riferimento, una sorta di «capo tribù» laddove per «tribù» si intende una «famiglia virtuale» che facilmente può entrare in contrasto con quella in carne ed ossa, quest'ultima sempre più alle prese con criticità di ordine materiale che non di rado sconfinano in problemi di altra natura (psicologici e in certi casi anche psichiatrici, perché il quid di energie di cui ciascuno dispone rischia oggi di non essere più sufficiente per far fronte ai continui attacchi al buonsenso, attacchi appositamente sferrati da una élite di scemi al potere – come dicevo si parla di un potere planetario - per creare confusione e incertezza dal punto di vista sia valoriale che economico).
«Un abile leader può servirsi di un gruppo per creare un potente “ambiente di famiglia”. Una volta indotto questo ambiente, al leader diventa possibile agire su un membro del gruppo senza fare un attacco diretto, manipolando sottilmente gli altri membri del gruppo attraverso suggerimenti». Se la vittima è stata indotta a pensare che il gruppo sia qualcosa di caloroso e utile, quando questo ambiente sarà stato manipolato e gli si rivolgerà contro, certamente eserciterà su di essa lo stesso impatto del profondo rifiuto della madre. Inoltre la vittima, se non è totalmente consapevole della catena di manipolazioni usata dal leader, tenderà a interiorizzare il risultato e penserà di essere lei la responsabile di questo nuovo atteggiamento nei suoi confronti». Ci si riferisce a un esperimento realizzato da John Rees, esponente del Tavistock nonché generale di brigata (pare che in questi ultimi anni i «generali» stiano tornando protagonisti, senza fare nomi e non credo sia necessario).
Quel che è peggio, qualche «esperto» di comunicazione ha voluto far rientrare nel mondo degli influencer perfino la scuola, alla quale fino a qualche anno fa si chiedeva di aiutare i giovani a ragionare con la propria testa, proprio per evitare che subissero passivamente l'influenza da parte di chicchesia. È quindi in atto un visibile rovesciamento di paradigma (visibile per chi vuol vedere, si capisce), una metamorfosi per condurre la società, in maniera relativamente percettibile, verso un mondo diverso, che non significa migliore: un mondo di «videogiochi» dove la progressiva perdita di sensibilità rispetto al denaro contante fa smarrire anche il senso del dovere che a quel denaro faticosamente guadagnato era e in parte è ancora strettamente correlato, in una nuova realtà virtuale fatta di numeri anziché di monete e banconote reali; un mondo in cui tutto si fa fluido e, per queste sue stesse caratteristiche, difficilmente vivibile da parte di chi non detiene una qualche forma di potere, a livello sia di vertice che di base. E oggi vediamo che in ogni ambito lavorativo, da una condizione di relativa orizzontalità ci si sta assestando su ben altre caratteristiche, di natura chiaramente verticistica in una accezione iperliberista. Ed ecco le figure di riferimento di cui trattasi, le quali per l'immagine di leggerezza e di naturalezza che per mestiere devono assumere si fanno ascoltare dai giovani o più in generale dagli illusi. L'influencer Spencer X (alias Spencer Polanco Knight) si esibisce nel beatbox (riproduzione con la bocca del suono degli strumenti musicali): si può lecitamente immaginare che in un ambito in cui tutto viene monetizzato tale pratica possa indurre a credere che studiare uno strumento vero sia meno redditizio, di conseguenza abbastanza inutile (i conservatori piangono miseria, se è vero che in cinque anni hanno perso il 40% degli iscritti). Qualcuno dice che il beatbox sia da considerarsi una disciplina della cultura Hip Hop, genere musicale dell'auto-esaltazione e della finzione nato a New York verso la fine degli anni settanta» (Djing, MCing, Breaking sono altre sue discipline). L'Hip Hop viene associato a movimenti di protesta e denuncia sociale (in Italia pare si sia imposto in correlazione ai centri sociali di sinistra e all'inizio si prefigurava come una forma di «anticapitalismo»). Nel tempo l'Hip Hop ha incorporato il Rap e sappiamo bene quanto possa guadagnare oggi un rapper (vedi Fedez, a proposito di Ferragni). Che si tratti di un mondo pieno di contraddizioni è sotto gli occhi di tutti. Nella storia e nell'immaginario della musica Rap, e naturalmente Trap, droga, armi e violenza rientrano di fatto nella normale narrazione, ciò che fa credere che dietro questa sottocultura possa esserci la solita manipolazione con conseguente allontanamento dei giovani da una visione più positiva della realtà (che non può esprimersi per mezzo di un passivo auto compatimento condito da aggressività, ma, piuttosto, attraverso un'azione concreta orientata verso l'interesse comune).
A fine Novembre 2023 al centro fiere di Rho è stato presentato il «meglio» della pop culture e del digital entertainment, una kermesse che ha attirato operatori e appassionati del settore grazie anche alla partecipazione di personaggi provenienti dal mondo dei fumetti, dei games e del cosplay, oltre che del cinema. Un luogo, si dice, dove «il ludico diventa una nuova forma espressiva del sociale» e dove per i giovani è possibile incontrare influencer e rapper, oltre che giocare ai games anni 80 (come «arcade», che significa sala giochi?). La sensazione è che gli influencer rientrino a pieno titolo nel grande videogiochi collettivo, che come si è detto allontana le nuove generazioni da una visione umana delle cose per orientarli verso forme di intelligenza artificiale e prive di etica, fatte di gelidi algoritmi dietro i quali possono nascondersi azioni illegittime e discriminatorie (chi controlla i controllori?).
Charli e Dixie D'Amelio, sorelle, sono due Tiktoker molto note in tutto il mondo (si dice abbiano 133 milioni di follower!). Ad appena 15 anni Charli avrebbe aperto il suo profilo su Tik Tok, un social che esperti del settore definiscono «il peggiore» poiché (tra l'altro) «abitua il cervello ai continui cambiamenti dell'app, causando difficoltà di adattamento a un'attività non digitale in cui le cose non si muovono così velocemente», come ha dichiarato Michael Manos, direttore clinico del Centro per l'attenzione e l'apprendimento della Cleveland Clinic Children's. Alcuni studi avrebbero dimostrato come Tik Tok sia congegnato per riversare sull'utente quantità di video adatti ai suoi interessi, influenzandone idee e comportamenti dopo averlo «ingabbiato» col rischio di provocare in lui forme di disagio psichico (ciò vale soprattutto per i giovani, e pare sia molto facile aggirare il limite di 13 anni necessari per aderire al social, ad oggi non essendo previste vere forme di controllo). Dixie e Charli sono protagoniste coi loro genitori del The Amelio Show. Personalmente non credo sia così bello e utile mischiare in maniera stucchevole genitori e figli in un reality nel quale attraverso i personaggi rappresentati viene rivelato il lavoro dietro le quinte necessario per costruire e mantenere una carriera sui social media (riguardo alla figura dell'influencer, «che se ne parli bene o male l'importante è che se ne parli», come diceva qualcuno a proposito della pubblicità in senso lato). A volte gli influencer sono «parenti di» (mi risulta che su un noto social sia molto attiva la figlia di una famosa giornalista e conduttrice televisiva, senza tuttavia voler fare allusioni a favoritismi particolari). Resta il fatto che tra gli influencer e il potere pare esserci un legame stretto, basti pensare all'invito ricevuto da Chiara Ferragni a partecipare agli incontri del Bilderber, «gruppo» ben noto formato da 130 altolocati tra banchieri, economisti, imprenditori, giornalisti, politici e, appunto, influencer. Si tratta di uno degli organismi più importanti e noti di questo sistema inquietante, e mi chiedo se proprio dal Bilderberg non sia giunta la proposta a Chiara Ferragni di entrare in massoneria.
Tra i consigli per diventare «virali» su Instagram al 6° punto troviamo «segui le tendenze del momento». Resta da vedere chi e perché dietro le quinte lavora alacremente per «costruire» tendenze anche attraverso influencer sostenuti da un sistema che certamente non offre garanzie dal punto di vista etico, poiché, come si diceva, invita a monetizzare ogni cosa. Al 2° punto leggiamo «interagisci con altri profili» (per far sì che questi si accorgano e in qualche modo ricambino con un follow): credo si tratti di un'attività snervante, soprattutto per chi si illude di poter raggiungere certi numeri in termini di follower e guadagni. Un'attività che certamente toglie spazio allo studio, alla lettura dei classici (sempre più definiti «obsoleti e inutili») e a tutto ciò che richieda una partecipazione attiva e non virtuale («sii attivo e rispondi a commenti e messaggi», troviamo al 1° punto tra le «migliori tecniche» per migliorare l'engagement, ossia il livello di coinvolgimento emotivo che un utente sente nei confronti di un brand, di un'azienda o di un prodotto). Inoltre l'algoritmo di Instagram premia i reels che «utilizzano suoni popolari come sottofondo». I reels sono piccoli video della durata di 15-90 secondi, paragonati alle «storie» di Facebook. Tutto si consuma velocemente, in linea con la filosofia social.
Così, questi giovani che dovrebbero reggere la società del futuro rischiano di diventare autentici zombies. La notte dei morti viventi è alle porte?
Davide Crociati