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                                                                          Bellaria I.M., 08 Ottobre 2017

 

 

La Tv e i principi del comunismo liberista

 

C'è ancora chi vuol credere (o far credere) che il sangue blu esista e per volere divino. C'è chi si aggrappa alla speranza che il popolo non si accorga più di tanto delle grandi (diciamo pure paradossali) contraddizioni che caratterizzano numerosi personaggi pubblici, che forse tali non sono se non nella misura in cui compaiono in maniera ossessiva sui teleschermi (in certi casi non si capisce neppure il perché). In un'epoca in cui moda e cucina aspirano ad occupare i musei dove per fortuna al momento sono ancora ammirabili opere d'arte, nei “castelli televisivi” la politica dalla propaganda facile detta le regole del buonsenso, se non addirittuta del buono e del cattivo gusto. E la gente ci casca perché non ha più la forza di reagire, perché sta soccombendo sotto il peso della spazzatura sottoculturale. E si tratta di un peso ormai insostenibile. Oggi come ieri merli e merletti imperano sulla cima della torre, parrucconi e imbonitori, tra i quali il peggiore imitatore di se stesso rischia di trovare il centro della scena , affollano le “magiche” sale illuminate a giorno, dentro cui presentatori e personaggi fanno ormai parte dell'arredo (e tuttavia spesso tradiscono una modesta qualità). Cantanti, ballerini, attori, calciatori e scrittori dell'ultima ora (ma non sempre) temono di perdere il contatto con un pubblico che suo malgrado li sostiene, per la verità spesso assai distratto e passivo, per cui cedono facilmente alla tentazione di prostituire la mente al fine di vendere prodotti, buoni o cattivi purché orientati verso una “volontà popolare” che non troverà mai soddisfazione se non nei sogni, costruiti non sempre ad hoc dai loro presunti (e spesso “imposti”) paladini. Ma chi dorme non piglia pesci, si dice, e la passività dilagante degli eroi del nulla col cellulare in mano rischia di tradursi in forme di disagio sempre più significative, per non dire gravi.

Mi si consenta un'appendice.

In questo “cimitero dell'industria” che sta diventando l'Italia, sopravvive il mito del “Che”, tante azioni del quale (non ci piove) oggi sarebbero additate dalla comunità internazionale quali autentici crimini contro l'umanità. E negare la ferocia del presunto “guerrillero heroico”, per poterlo utilizzare come paravento dietro cui nascondere fin troppo chiare velleità iperliberiste, pare sia diventato quasi uno sport da V.I.P. (dove I. sta per “Ignorant”?).

 

                                                                     Davide Crociati

 

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