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            Bellaria Igea Marina, 25 Gennaio 2024

 

Gigi Riva l'isolano

 

Nell'ultima intervista al Corriere della Sera risalente al 28 Giugno 2023 «Rombo di Tuono», commentando la dipartita di alcuni suoi celebri colleghi, aveva riflettuto sulla morte e sulla fugacità della vita. In quell'occasione disse: «Eh non so se sarà lontanissimo ... alla mia età prima di dormire sei un po' teso al pensiero: non è che la morte sia una grande cosa».

In un mondo di influencers e di personaggi effimeri messi in bella mostra da un sistema che pone arte e poesia all'ultimo posto, un uomo e un atleta come Luigi Riva appare un gigante e come tale viene descritto perfino dai media ufficiali, forse per un rigurgito di buonsenso che la dice lunga su cosa arde sotto la cenere di questa società 2030 che va ai 30 ma che, paradossalmente, come un treno impazzito procede a folle velocità lungo un percorso disseminato di incognite, nel nome di un «progresso» che ha il sapore disgustoso di una farsa collettiva.

Gigi Riva è stato un uomo schivo, ben lontano dagli opportunismi che caratterizzano gran parte degli uomini cosiddetti «di successo» (ma spesso sostenuti da un'ambizione priva di ritegno - se non di decenza - e da un sistema che ha tutto l'interesse a entrare in modo capillare nella mente dei corruttibili); lontano anche dai riflettori della politica nonostante il canto di mille sirene sia di destra che di sinistra, e anche di centro: ci provò il Partito sardo d'Azione nel '78 (alleanze con le sigle progressiste, con PdL e UdC, coi Riformatori Sardi e più di recente con la Lega); ci provò Bettino Craxi che a quanto pare cercò di convincerlo personalmente; ci provò la DC di Ciriaco De Mita nel 1988; ci provò Silvio Berlusconi in occasione delle regionali 2004. Riva si sentiva solo e soltanto ciò che era nell'animo: non un «divo» bensì un calciatore, un atleta e un essere umano semplice con sentimenti veri e come tali non mercificabili, se è vero che rifiutò offerte molto vantaggiose dal punto di vista economico e non solo (come quelle ricevute dall'Inter e da Gianni Agnelli che naturalmente lo voleva alla Juventus). Grato alla città di Cagliari, città che lo ospitò e lo rese grande, ivi rimase fino alla fine. Ciò desta scalpore e tanta ammirazione in un mondo cosmopolita che non vuole più confini, come se il non averne fosse una condizione ideale o migliore per evitare guerre, miseria e sofferenze (temo sia e sarà esattamente il contrario...). Non dimentichiamo che la Sardegna ha nel mare i suoi confini naturali. Ma questo scritto indegno non vuole essere uno strumento di propaganda contro il cosiddetto «nuovo mondo» ora che il nostro campione è passato a miglior vita. Vuole essere piuttosto la manifestazione d'un desiderio che reputo legittimo: riportare al centro la normalità. Una normalità nella quale molti ancora si riconoscono o vorrebbero potervisi riconoscere. Una normalità fatta di semplicità che non significa ingenuità, ma anche di dirittura morale e conseguente onestà di comportamento (bando alla facile retorica). Nonostante la proverbiale umiltà che lo ha contraddistinto Riva è stato un personaggio simbolo e credo lo sia ancor più adesso che ci ha lasciati a causa di una sindrome coronarica acuta. Non tanto per quel terzo goal alla Germania nel lontano 1970 (annullamento del difensore Schnellinger e sciabolata da sinistra a destra con palla in rete per il tripudio dei numerosi tifosi presenti all'Azteca, che in gran parte tifavano Italia dopo le precedenti prodezze degli azzurri al mondiale messicano), o per altri suoi goal importanti (come quelli segnati al Cipro e - di rovesciata - alla Svizzera nel '67, o quelli realizzati alla Jugoslavia e al Galles nel '68 - per altro uno molto simile a quello messo a segno contro la Germania di Beckembauer - contro la Germania Est nel '69 - alla Paolo Rossi - e, ancora, contro il Galles sempre in quell'anno, o contro la Spagna e il Portogallo nel '70, contro il Messico al mondiale del 1970 e nel '71 contro la Svizzera – di nuovo alla Pablito - e contro la Svezia, poi contro il Brasile nel '73 per citarne soltanto alcuni), quanto piuttosto per il suo fare da antidivo che ha saputo mantenere fino in fondo, così come lo aveva mantenuto quando nel 2006 aveva fatto parte dello staff della nazionale campione del mondo (finale vinta per 5-3 ai rigori contro la Francia di Zidane, Thuram e compagni,). Pare apprezzasse molto le canzoni di De Andrè, il campione nato a Leggiuno (Va) ma sardo d'adozione, a testimonianza della sua appartenenza a un mondo che apprezzava la qualità e la poesia, un mondo ben distante da quello in cui viene intitolata una piazza a Jonathan Boschetti alias Sfera Ebbasta e dove imperversano personaggi sostenuti dalla penna di sedicenti critici e da giornalistucoli venduti. Evidentemente Fabrizio De Andrè e Gigi Riva avevano qualcosa in comune. La classe sicuramente. Sembra che la canzone preferita di «Rombo di Tuono» fosse Preghiera in Gennaio, scritta dal cantautore genovese dopo la tragica morte di Luigi Tenco. Non si esclude che quest'ultimo avesse cattive frequentazioni, come mi riferì una sua vicina parente le cui parole invaliderebbero la tesi del suicidio: un'anima troppo sensibile caduta nella rete della delinquenza organizzata? Verosimile!

«Non l’ho mai conosciuto di persona, nemmeno un autografo, un selfie, una parola scambiata per strada. Ma quando da bambino cerchi chi possa ispirarti a crescere e trovi una figura straripante di cose evocate e non dette come la sua – un cavaliere solitario, un impassibile creatore di istanti memorabili, una incrollabile certezza nei gesti precisi e nelle parole misurate, un volto inconfondibile con infinite storie dentro – innamorartene non è in discussione», scrive un giornalista di Avvenire. Sono d'accordo con lui. Totalmente. E credo lo siano in tanti, a testimonianza che la voglia di verità e di sobrietà pulsa tra i meandri di una società ingabbiata da lobbies (dicasi gruppi di pressione) che viaggiano sull'onda di un malthusanesimo colpevole (per malthusanesimo si intende qualsiasi teoria attribuisca la causa della povertà al gap – in certi casi creato ad hoc - tra crescita demografica e sviluppo dei mezzi di sussistenza, e che di conseguenza proponga forme di controllo delle nascite). È sotto gli occhi di tutti il tentativo maldestro di ostacolare lo sviluppo della popolazione, oggi in corso su vari fronti: la crisi economica voluta dalle élite transnazionali, che impedisce ai giovani di formare una famiglia e di fare figli ne è un esempio. Come lo è la continua pressione di certa politica affinché vengano liberalizzate le droghe cosiddette leggere (nel frattempo ne stanno arrivando sul mercato una miriade, con la conseguenza che si sta espandendo una giungla sempre più fitta di sostanze di difficile inquadramento). Senza dimenticare il tentativo criminale di spingere bambini e giovani a cambiare sesso solo perché un po' fragili o semplicemente soggetti a crisi di crescita. A tale riguardo esistono casi da manuale che rievocano momenti tristissimi della storia umana. Riesce difficile immaginare che un personaggio sobrio e razionale anche nelle scelte autolimitative come Gigi Riva abbia potuto vedere di buon occhio un siffatto mondo, lui che ha scelto un'isola in cui vivere, una terra circondata dalle acque, quindi un'area circoscritta. Eppure questa sua necessità esistenziale non gli ha impedito di travalicare confini e di raggiungere terre lontane grazie alle sue imprese calcistiche.

Parlando di un mondo in via di superamento e che sta ormai boccheggiando sotto la pressione dell'Agenda 2030, anche il campanilismo vecchio stampo offriva la possibilità di vivere poesia e bellezza del calcio in un'atmosfera fosse la più plumbea (per rievocare il grande Sandro Ciotti dalla mitica voce gracchiante), e se i cori di insulti facevano parte del gioco, in molti casi finiva lì. Del resto la natura impone agli umani un quid di aggressività che potrebbe non essere così sbagliato incanalare in situazioni farsa ma dense di pathos. Hanno perfino cercato di imporre un campionato unico transnazionale per togliere alle realtà locali quel senso di appartenenza che il calcio come poco altro sa donare. Facendo i dovuti rapporti spero che il campanilismo continui, per quanto Riva fosse molto severo sul calcio moderno: «il calcio mi annoia. È così monotono, si passano la palla da una parte all'altra del campo, aspettando soltanto che si apra un varco. Troppo lento. Noi eravamo più rapidi, andavamo presto in verticale. E via a cercare il goal». Se detto da uno qualsiasi varrebbe poco, si può invece dar credito a un grande campione. Per quel che possa valere, parlando dell'esperienza mia personale ricordo pomeriggi di cielo azzurro non sfregiato da aerei misteriosi; pomeriggi di lunghe attese sugli spalti, di applausi scroscianti all'ingresso delle due squadre e della terna arbitrale rigorosamente in nero (quasi le loro casacche fossero toghe da campi erbosi). Dopo attimi di suspence, il calcio d'inizio seguito da un silenzio quasi surreale, un momento di relativa calma che risolveva in grida e applausi alla prima azione un po' concitata. Ma se protagonisti e pubblico emettevano fumo che si confondeva con la nebbia, sotto un cielo grigio cupo foriero di pioggia, l'emozione era anche più forte e la voglia di scaldarsi il cuore apriva a momenti di autentica euforia che poteva sconfinare in qualche sonora volgarità col sorriso, all'insegna dell'ironia. Oggi sembra tutto decisamente più arido, il calcio si è fatto muscolare e poco fantasioso, un po' come il mondo che si vuol costruire in laboratorio e pare che dal «Britannia» l'Italia ne sia cavia designata: il mondo della carne sintetica, delle farine di grillo e dei vermi che dovrebbero sostituire la dieta mediterranea. I giocatori alla Riva, con la testa bagnata di fresco e un chewing gum in bocca, senza fronzoli e volgarità, hanno lasciato il posto a supermen seriali alti due metri, tatuati e orecchinati. Il mondo che cambia? Diciamo che in questa fase il nostro pianeta non sta particolarmente bene. Confesso di non sapere neppure chi giochi in nazionale, chi ne sia il selezionatore e quando si disputerà il prossimo mondiale o europeo. Seguivo il Cesena A.C., in certi casi anche in trasferta, ora non so in quale serie giochi o se esista ancora come Società. E mi accorgo una volta di più che il calcio è fatto da uomini, che gli uomini sono cambiati com'è cambiata la società, che dietro il carrozzone pallonaro si celano interessi esorbitanti, sia economici che ideologici. Ebbene sì, anche ideologici: se la gente comune paga il biglietto, resta a guardare e a volte litiga, al centro i protagonisti che guadagnano cifre esorbitanti sembrano espressione di un mondo nuovo/diverso, ma non genuino. Un mondo fatto di muscoli e di apparenze. Il risultato è esattamente il gioco descritto da Gigi Riva nell'intervista rilasciata ai microfoni de la Repubblica e dalla quale ho stralciato un passaggio.

Non credo sia un caso che Berlusconi abbia chiamato Arrigo Sacchi a dirigere un Milan ricco di campioni, poiché l'allenatore di Fusignano riusciva a plasmare una squadra secondo determinate caratteristiche, sull'onda di una filosofia molto in linea col pensiero del Cavaliere: si doveva superare la mentalità del catenaccio per mostrare al mondo la metamorfosi italiana sotto la guida del condottiero in bandana, per la gioia dei liberisti che non vogliono lasciare spazio a troppi difensivismi. Del resto lo stesso Sacchi sosteneva che «l'Italia è indietro di vent'anni rispetto al resto d'Europa» (fermo restando che il governo Berlusconi non riuscì ad attuare le riforme promesse, dovendo fare i conti con un'Italia poco avvezza a cambiare, o poco incline a fare «salti nel buio» per avviarsi verso trasformazioni troppo audaci e poco in linea coi principi morali vigenti, come audaci e un po' riottose erano le reti del Biscione).

Tornando al nostro Gigi Riva, nel 2006 l'ex campione del Cagliari e della nazionale fece parte dello staff azzurro in qualità di team manager. Tornò dalla Germania da campione del mondo sotto altra veste, ma guarda caso anche quell'anno l'Italia adottò una tattica tipicamente difensivista, poiché dotata di una retroguardia solidissima pronta a ripartire ad ogni buona occasione. Checché se ne dica. Con queste caratteristiche la squadra azzurra vinse un mondiale per la quarta volta, superando Germania e Argentina e avvicinandosi al mitico Brasile. Eppure erano gli «anni d'oro» dell'esecutivo berlusconiano. Certo non si può negare che quel difensivismo 2.0 non fu ossessivo come in altri tempi. Forse, è giusto sottolinearlo, grazie anche al passaggio del romagnolo Arrigo Sacchi. Ad ogni modo sono convinto che Gigi Riva nel motore-Italia abbia contribuito a raggiungere quella vetta, per l'energia positiva trasmessa ai giocatori da «personaggio simbolo» qual era (ottima, dunque, la scelta di Lippi) con l'unico neo di un campionato del mondo perso solo in finale contro un Brasile stratosferico: quello di Pelè, Rivelino, Tostão, Jairzinho e compagni. Credo che quella cocente sconfitta, che ridimensionò bruscamente gli entusiasmi della vittoria contro la Germania di Maier, Overath e Müller, rappresentò nel 2006 il margine che finalmente poteva essere colmato. E probabilmente giocò anche la presenza di «Rombo di Tuono».

Non mi piace parlare di eroi, quindi non userò questo termine oggi decisamente abusato per definire «il mio Riva», ma certamente si è trattato di un grande personaggio, dal punto di vista sia umano che sportivo.

 

                                                               Davide Crociati

 

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