Un gioco da ragazzi
A 14 anni questi ragazzini in balia di tempeste ormonali e spesso vittime di genitori assenti o troppo assillanti (tante volte separati e incancreniti nella loro
immaturità post sesantottina) sono come crisalidi indurite dalla società dei videogiochi e del gratta e vinci, dalla società dei vuoti contenitori televisivi e della politica malata di protagonismo,
o della scuola dell’indifferenza e dei libri di testo unidirezionali. A 15-16 anni sono povere animelle incolte senza esperienza e senza speranza, in procinto di sperimentare qualche scuola un po’
meno noiosa che possa destare in loro un barlume di interesse che non sia soltanto quello per il motorino o per gli stupefacenti a buon mercato (ahimé!). A 17 anni sono in lotta con brufoli e cotte
sempre difficili da gestire, nella mancanza di riferimenti veri e nell’apatia di chi si rende conto che impegnarsi fino al mal di testa potrà non bastare più. Un annetto dopo, nella prospettiva di
doversi trascinare dietro una vita allungata e acquosa, questi ragazzi recano con sé un mondo pesante di tensioni non risolte e di moderne paure che non raramente trovano conforto solo in rimedi
artificiali e spesso distruttivi.
Ancora devono iscriversi all’università ma sanno che potenzialmente potrebbero entrare in parlamento, sanno che importanti ed espertissimi
avvocati, notai, ingegneri, medici ed economisti potrebbero un giorno doverli chiamare onorevoli. Già, onorevoli fanciulli alla mercé di vecchi marpioni che ovviamente saprebbero farsi gioco di loro
orientandoli e manipolandoli a piacimento. Va da sé che un parlamentare diciottenne o anche ventenne avrebbe problemi di studio, perché a quell’età una laurea non è ancora conseguibile, o non
seriamente. Va da sé che una laurea giovane significa ancora poco, perché ha ragione chi dice che la conclusione degli studi (ufficiali) rappresenta il vero inizio e non una meta definitiva. Va da sé
che a diciotto anni l’esperienza è quella che è, quando a quaranta potrebbe non essere sufficiente per pensare più in grande come forse è richiesto a chi deve gestire affari pubblici si presume
complessi. Va da sé che oggi a diciotto anni anche i ragazzi più in gamba sono molto fragili, affettivamente ma soprattutto nella capacità di gestire le tensioni, nello scontro con chi ha sensibilità
e convinzioni diverse dalle loro. Va da sé che il titolo di onorevole verrebbe svilito al punto da mutare di significato nei dizionari futuri, fino a scomparire. Va da sé, allora, che davanti al
Parlamento (uso ancora la maiuscola) si potrebbero formare lunghe file come ai provini del grande fratello, e a quel punto nell’immaginario pubblico il cuore politico della nazione diventerebbe una
casa chiusa con telecamere tutt'altro che nascoste a cui tanti acerbi dotati di parlantina e arroganza potrebbero aspirare fin troppo comodamente. Naturalmente ho parlato per paradossi, ma la
sostanza mi sembra chiara.
Ben vengano certi “rottamatori” ispirati, ma la sensazione sgradevole è che si stia andando verso Parlamenti baby, o verso Parlamenti in cui, come dicevo, il carisma dei soliti vegliardi della
politica si farebbe sentire non poco sui novellini di turno (che verosimilmente non sarebbero diciottenni ma venticinquenni si!). Verrebbero così scavalcati anche i più onesti e convinti
“rottamatori”, e si tornerebbe a vecchi circoli viziosi e ad antiquate situazioni ristagnanti, che uscite dalla porta, rientrerebbero comodamente dalla finestra! Scenario apocalittico? Forse, ma a
volte non fidarsi è meglio.
Il conforto viene dal pubblico, ossia dalla gente che non potremo più chiamare “comune”, poiché, per la prima volta, se le cose andassero in un certo modo i vip cosiddetti non avrebbero più ragione
di esistere non potendo, un diciottenne o un venticinquenne della politica, confrontarsi con un economista vero (non parlamentare): ho sentito diverse persone intelligenti dalla mente aperta (altro
che certi buzzurri sotto le palme di un'isola sperduta) affermare che no, individui di diciotto anni ma neppure di venti o venticinque oggi (dico oggi) potrebbero assumere ruoli complessi senza
svilirne pericolosamente il prestigio. Chiaramente, certi ruoli diventerebbero solo “di facciata” e il marketing dei rampolli entrerebbe imperante nella politica. Ancora di più. E la voglia di
evadere le tasse e di fregarsene di uno Stato siffatto aumenterebbe in un numero crescente di cittadini.
Davide Crociati