Bellaria, 15 Febbraio 2015
UN GIGANTE SULLE SPALLE DEI NANI
Nella tragedia annunciata di Charlie Hebdo; nella stucchevole intervista a Charlize Theron al festival di Sanremo; nelle surreali notti al museo-Parlamento che definire turbolenti è a dir poco eufemistico; nell'incapacità di rimediare agli errori tragici della politica estera (non solo italiana) sullo scacchiere internazionale e di far fronte alla crescente disoccupazione e alla perdita di dignità che ne consegue; si manifesta in tutta evidenza la crisi dell'Occidente e soprattutto dell'Europa, allo stato attuale facendo le dovute distinzioni. Occidente che, come probabilmente accadde all'Impero romano nella lunga fase del declino, sta mostrando il suo volto pallido, reso ancora più malinconico da un trucco pesante e da gioielli pacchiani ostentati con malcelato egoismo, ammantato di delusione. L'ex società opulenta non riesce più a mascherare l'imbarazzo che inevitabilmente prova verso i suoi figli più giovani, ai quali è negata la speranza e perfino l'illusione di poter vivere un futuro appena decente. Rigurdo alla situazione italiana, Piero Angela in un suo libro del 2011 scrive che “il politico è come il pilota, ma senza macchina non può andare da nessuna parte. Soprattutto se, come spesso avviene, in politica si dibatte continuamente sui ricambi di maggioranza ma non su come migliorare veramente le prestazioni del Paese”. Dunque la macchina non funziona più? Siamo fuori mercato per tanti versi e sarà possibile ripristinare un equilibrio accettabile solo fra molti anni, lasciando sul terreno tanti morti quanti ne fa una guerra mondiale?
Si dice che il festival di Sanremo sia espressione della nostra società e forse in questo c'è del vero, ma rimango dell'idea che si continui a cercare di costruire un'immagine positiva dell'odierno “carrozzone” anche laddove di positivo c'è ben poco. Lo si fa attraverso il lavoro febbrile di giornalisti imbrillantati, arrampicatori di specchi dall'aspetto circense che usano con eccessiva disinvoltura la parola “arte” e che allontanano dalla “verità” un certo numero di cervelli inesperti, o induriti da anni di sciocchezze tenute su un piedistallo, o esposte in tanti musei mondiali della fandonia, spesso sovvenzionati anche da cittadini inermi, sempre meno reattivi a causa dell'evidente lavaggio del cervello (per chi ancora sa/vuole vedere).
Che dire, allora, di questo “spaccato di società”, di questo festival “Zecchino d'euro”, orfano di un Tortorella che neppure si sognava di mascherare la mascherata? Che dire di questo Sanremo nell'ambito del quale fanciulli coi baffetti incolti che sembrano voler compiacere nonni e bisnonni assumendo look anteguerra, o che saltano come grilli impazziti, si mischiano a vecchi marpioni zavorrati del loro stesso nulla? Francamente non so come si possa parlare di qualità in riferimento a prodotti seriali che non sanno esprimere che retorica e banalità, e che qualcuno vorrebbe accostare alle canzonette anni Ottanta come a dire: “quella sì era musica” (figuriamoci, una generazione di sedicenti pedagogisti che ancora cerca di nascondersi dietro il dito medio, una generazione che ha partorito schiere di falliti a volte capaci, certo, di riempirsi tasche e zaini vendendo fumo!). Uno spaccato di società, questo Sanremo, che propone riappacificazioni spettacolo (dalla Russia con torpore, non era già successo?) e gruppi attempati di quel rock commerciale che ha fatto tanto rimpiangere il rock delle origini, quello che Alberoni definirebbe “allo stato nascente”.
Questo Sanremo, come altri festival che hanno precedeuto, non educa al bello e non stimola all'azione (non calma la fame e non stuzzica l'appetito!), non instilla memoria positiva e non crea un legame tra generazioni poiché le miscela in un'unica brodaglia insulsa, dentro alla quale trovano il loro habitat bimbetti dall'aspetto invecchiato e vecchi peter pan inguaribili, per non dire recidivi. Un minestrone insipido e zuccherato i cui ingredienti principali sono la paura di insegnare la “verità” (da parte dei vecchi) e quella di conoscerla (da parte dei giovani). Probabilmente, scorrazzando tra i casinò di Atlantic City e le stanze del castello televisivo nazionale, i vecchi marpioni sentono di avere una sola vera missione, ancora una volta auto salvifica: quella di anestetizzare le nuove generazioni, affinché gli ultimi rrivati non s'accorgano più di tanto di doversi caricare sulle spalle l'intero peso del futuro. Se coloro che li hanno precedeuti erano “nani sulle spalle di un gigante”, i nuovi nani sono destinati a sopportare il peso di un Golia tanto obeso quanto inutile.
Quindi, tra comici che non fanno ridere e cantati senza vera identità (mi meraviglio dei loro arrangiatori!), la nota positiva in ambito sanremese è che “ora si dice Pippa”. Mentre il “Pippo” originale, consegnato alla storia, è tornato ad essere semplicemente un triste aereo solitario, che dopo avere fatto il suo bisogno quotidiano se ne va sparendo nel nulla...
Davide Crociati