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                     Breve riflessione sull’Arte

 

Una dissonanza può risultare di per sé sgradevole, e per un processo di ingenua associazione psicologica può rappresentare "il negativo" in senso lato, o addirittura può essere percepita come "elemento innaturale" rispetto al bisogno di ordine che caratterizza l'essere umano: essa non culla l'orecchio (ossia il cervello) e produce, per simpatia, una durezza interiore la quale può tradursi in una sorta di "instabilità spirituale" che poco si accorda con l'innato bisogno di certezze che solo la religione può parzialmente soddisfare, seppur (oggi) illusoriamente. Per quanto io ritenga la religione ancora indispensabile. Se è pur vero che le dissonanze sono tante anche nella musica costruita secondo regole e materiali propri del sistema classico occidentale, il quale ha il suo nucleo in una "frequenza fondamentale" che assume il ruolo di "tonica" (primo grado della scala) e da cui il sistema prende nome, in un siffatto contesto esse hanno una più o meno spiccata tendenza a risolvere su consonanze attigue o su altre dissonanze transitorie. Non di meno, va considerato che una qualsiasi dissonanza proprio per il suo carattere d'instabilità, che ha artisticamente ragione di essere nel rapporto tra fenomeno fisico-acustico e percezione umana del fenomeno stesso (almeno in parte di ordine culturale), può rappresentare anche "il movimento", il quale di per sé non costituisce "negatività". Tutta la musica della grande tradizione europea, quindi, ed anche tutta la musica popolare che ne sta alla base o che ne deriva, ha nella consonanza un terreno d'appoggio: dopo innumerevoli travagli e tensioni alla fine la stabilità prevale, quindi la quiete è destinata a riassorbire ogni cosa, anche il minimo soffio spirituale, anche il più lieve sussulto di vita: passando attraverso mille tormenti, mille emozioni belle e brutte, col bisogno di sicurezza sempre presente ma nella continua ricerca d'una meta escatologica che vada al di là d'una partitura (ossia della vita terrena), la consonanza che lungo il percorso rappresenta il "riposo parziale" si fa in ultimo "riposo definitivo". O almeno è ciò che spesso sembra accadere nelle composizioni di un certo livello e respiro (in quelle minori l'ultima nota rappresenta per lo più la conclusione d'una "storia intermedia"). Se ne potrebbe dedurre che la "vera" arte dei suoni genera inquietudine nell'animo dei semplici perché è espressione d'una realtà che sconfina oltre i confini dei normali sensi... In secondo luogo definisco "femminile" la tonalità nella misura in cui anche le donne (per quanto non sempre lo lascino trasparire, per soddisfare le esigenze un po' "drogate" d'un femminismo vorace che troppo spesso cerca di sostituirsi al vecchio e ormai obsoleto maschilismo) tendono alla stabilità poiché, fino a prova contraria, i figli sono ancora loro a farli (sempre che io sia sufficientemente aggiornato sulle stramberie che la natura quotidianamente ci svela, natura che sempre di più pare volersi prendere gioco delle nostre minuscole certezze). Da tempo nella società le cose hanno cominciato a cambiare: ora la donna è molto più attiva su tutti i fronti, al contrario dell'uomo che rischia di attaccare arco e frecce al chiodo per chissà quanti decenni o secoli. Per tanti versi ci attende un futuro pieno d'incertezze e di lacune, quindi, che non potranno essere colmate da canzoncine sanremesi e da musichette sdolcinate da telenovela, con le quali si cerca disperatamente di riesumare un romanticismo di vecchio stampo, quello che sopravvive per lo più nelle menti malate o semplicemente frustrate di troppe casalinghe insoddisfatte e di donne la cui arca è da tempo perduta, o nelle menti di non pochi mariti, amanti e fidanzati rabboniti per il timore di perdere anche l'ultimo barlume di sicurezza affettiva. Per non divagare, ho saputo di un vecchio maestro di musica che dopo aver ascoltato "soluzioni atonali" (evidentemente troppo dissonanti) si precipitava al pianoforte per riacquistare subito l'equilibrio perduto eseguendo almeno un accordo consonante, un po' come il bigotto che dopo aver ascoltato una bestemmia senta il bisogno di riequilibrare il suo stato interiore facendosi più volte il segno della croce o recitando un Padre Nostro, o un'Ave Maria... Viceversa, chi ascolta abitualmente musica atonale ben difficilmente ha problemi ad accettare anche combinazioni consonanti godendo d'uno spettro spirituale più ampio. Solo speculazioni? Forse. Ma quale grandiosa metafora della vita è l'arte dei suoni! In essa sono racchiusi i più segreti comportamenti della psiche e forse della natura in senso lato (che in fondo nella mente umana trova l'espressione più affascinante e incredibile). Per questo credo sia profondamente sbagliato ridurre la musica a solo svago e divertimento. Oggi (anche nella scuola) si pensa che la sostanza debba essere subordinata alle esigenze della persona, ma allo stesso tempo si trascura una cosa assolutamente importante, ossia che tante carenze individuali e collettive sono spesso dovute a un vuoto di sostanza, quest'ultima intesa come "ciò che non cambia" poiché semplicemente è (non vorrei essere frainteso). Mi chiedo allora quale possa essere il valore d'una socializzazione che miri semplicemente alla vuota aggregazione: anche i peggiori teppisti da stadio trovano un motivo d'unione (e di forza bruta) nel comune bisogno di esprimere rabbia contro un avversario che probabilmente nel loro immaginario primitivo rappresenta "il nemico sociale", colui che sta meglio a discapito di chi sta peggio, e contro l'arbitro che rappresenta una "giustizia al servizio degli ingiusti". Credo altresì che porre l'accento solo su questioni relative alla vita di certi VIP, parlando della solita televisione che - è un dato di fatto- condiziona e non poco la società, trascurando il valore contenutistico dell'operato di quegli stessi "personaggi molto importanti", significhi alimentare sempre di più nell'opinione pubblica l'idea secondo cui la televisione che chiede il canone, e quella che impone una montagna di pubblicità, rappresenti un "ricoveri per poveri uomini e donne" che a costo di mantenere una "posizione di privilegio" (chissà poi quanto meritata) sono disposti a falsare la realtà vendendo fumo ad altri poveracci di non pari fortuna. Per cui, in ultimo,  diventa una lotta tra poveri (ovviamente non mi riferisco a una povertà di ordine materiale). Contenuto qui inteso come qualcosa con cui è necessario fare i conti onde evitare l'attivarsi di pericolosi processi di razionalizzazione che in ultimo possono indurre a maturare false aspirazioni e "sogni drogati" (di conseguenza patologici). Inutile aggiungere che attraverso l'arte l'uomo cerca di elevarsi dalla troppo informe massa dei viventi, così come cerca di distinguersi dagli altri animali attraverso la religione. Anche o soprattutto in ciò sta la "sacralità" dei nostri capolavori artistici...
 

                                                               Davide Crociati
 

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