Bellaria I.M., 10-12-2015
L'elogio dell'ignoranza e della finzione
Più che uno psicologo forse una guida spirituale potrebbe insegnarci che anche l'ignoranza a volte, o
spesso, rappresenta una protezione da verità con le quali non si è ancora pronti ad avere un confronto serio...
Uno dei miei Maestri, di vita ancor prima che “di musica”, fu molto colpito quando gli dissi che, grazie a lui, noi allievi di composizione stavamo invecchiando anzitemo, poiché, ancora in fase di
studio del contrappunto ci venivano rivelati i primi segreti della musica contemporanea (il significato storico e filosofico della politonalità, dell'atonalità e della dodecafonia, per arrivare alla
scuola di Darmstadt, alle fasce sonore di Ligeti, agli studi di Boulez, ai lavori di Stockhausen, di Maderna e di Luigi Nono). Del resto il mio Maestro era ancora un giovane compositore,
preparatissimo, direi ai massimi livelli, forse un po' “orientato” da certe ideologie che oggi si ritiene abbiano fatto il loro tempo.
Giovani a parte, l'uomo è e sempre sarà l'eterno fanciullo che ha dovuto e dovrà fare i conti con l'ignoto, con qualche verità dietro l'angolo, molto spesso con false verità o con verità talmente
parziali da non risultare seriamente applicabili nella costruzione d'un ipotetico futuro.
La fantasia cosiddetta, oggi tanto derisa dai nuovi “intellettuali dell'iPod”, potrebbe ancora costituire un luogo protetto nel cui ambito sviluppare i “muscoli spitiruali”, così necessari per meglio
orientare e sfruttare quelli più prossimi alla materia fisica con le sue peculiari esigenze, reali o presunte (per dire che l'intelligenza scolastica non sarà mai sufficiente). Del resto non si può
negare che il linguaggio onirico, come Carl Gustav Jung ci ha così sapientemente illustrato in numerose Opere, importanti e impressionanti e che tanto hanno ispirato registi del calibro di Federico
Fellini e Akiro Kurosawa, utilizzi il simbolo come interfaccia tra la consistente area oscura della psiche, coi suoi diversi livelli, e quella “in luce” (la coscienza). Il mondo fantastico dei sogni
non sarebbe che espressione di verità recondite, mentre nella vita quotidiana ci illudiamo di riconoscere nelle cose visibili e tangibili le uniche “verità” di cui potersi veramente fidare.
Forse non è della "materia” in sé che dovremmo preoccuparci quanto piuttosto delle cattive interpretazioni che spesso ne diamo e dell'uso improprio che altrettanto spesso ne facciamo. Una nave
perfetta con un equipaggio scadente rischia di fare la fine del Titanic, così come un aereo supersonico con un pilota inefficiente al comando può schiantarsi facilmente al suolo! Nella metafora,
ovviamente, equipaggio e pilota rappresentano, forse un po' paradossalmente, la “guida spirituale” che dovremmo cercare dentro di noi e per raggiungere la quale non possiamo che attraversare
territori “fantastici”, a volte insidiosi, situati al di là dell'occhio di bue della cosiddetta coscienza.
Non si può neppure escludere che si nasca e si muoia “sapienti” e che lungo la parabola dell'esistenza la scalata verso la “vetta” (punto culminante delle nostre facoltà fisiche e mentali) possa
comportare la perdita del sentiero per imboccare percorsi talmente pericolosi da indurre a rinunciare alla spiritualità per questioni di pura, materiale sopravvivenza.
Chi può dire dove finisce la finzione e dove inizia una verità più profonda ammantata di immagini fantastiche?
Noi tutti rientriamo in una sfera caratterizzata al suo interno da verità parziali, che contestualizzate appaiono più verosimili di quanto non lo siano effettivamente: in un paese di delinquenti le
poche persone oneste finiscono per assumere, loro malgrado, il ruolo di corpi estranei e quindi di elementi non graditi alla comunità, così come in un ambiente familiare corrotto l'unico membro sano
della famiglia rischia di avere i problemi più seri.
Se appare ovvio che queste modeste riflessioni non aggiungono nulla di nulla ai tanti studi psicologici, sociologici, filosofici, figli del relativismo, va anche detto che le teorizzazioni in genere
sono destinate a scontrarsi con la realtà materiale della vita quotidiana e ogni tanto dovremmo immergerci nell'acqua un po' gelida del disincanto per recuperare maggiore consapevolezza di quella
certa, sana ignoranza che da sempre contraddistingue noi umani. Queste mie abituali riflessioni non rappresentano che una modestissima palestra dove ogni tanto provare ad allenare le meningi su
determinate problematiche.
Ma torniamo a noi. Come sappiamo inquadrare, oggi, la scottante questione del rapporto fra terrorismo e immigrazione di massa se non partendo da una visione del mondo antiquata e comunque in via di
definitivo superamento, alcuni dei quali facilmente analizzabili per vari motivi? Le guerre che stanno cambiando gli equilibri del mondo (quanto alle responsabilità che vi stanno a monte è come
chiedere se sia nato prima l'uovo o la gallina); l'istinto di sopravvivenza che non appartiene solo all'uno o all'altro popolo ma a tutta l'umanità, senza distinzione; lo sviluppo esponenziale dei
mezzi di comunicazione che già oggi permettono a individui situati in luoghi lontani di intergire facilmente; i cambiamenti climatici che determinano il progressivo aumento della desertificazione con
conseguente, inevitabile esodo di masse di disperati (ora più coscienti che in passato!) verso il nord dei Paesi più ricchi; ne sono solo alcuni esempi significativi. Non si può negare che sia in
corso uno scontro sempre più feroce tra popoli che lottano per difendere geni affini e per evitare la dolorosa dispersione dei rispettivi valori religiosi e culturali. Neppure si può negare che sia
in corso una lotta senza precedenti tra civiltà talmente lontane da risultare quasi di epoche diverse: si va dunque profilando un conflitto su vasta scala fra passato e presente, fra un medioevo
informatizzato e un illuminismo trascinato fino ai limiti estremi? Tutti hanno ragione, tutti hanno torto! Le verità particolari devono lasciare il posto a verità non assolute ma di più ampio
respiro, che non potranno per nulla garantire migliori condizioni di vita e, per un periodo prevedibilmente lungo, la pace tra i popoli. Se da un lato si teme di dover rientrare in abiti vecchi e
stretti, odorosi di naftalina, dall'altro si vuole evitare di dover fare a meno degli abiti. Anche dal punto di vista dell'alimentazione si sta muovendo qualcosa (vedi recente Expò milanese,
scriviamolo “alla francese” in omaggio ai recenti fatti di Parigi): non è più fantascienza, infatti, un'alimentazione mondiale a base di cavallette, formiche e insetti vari! Mentre si cercano fonti
energetiche alternative vi sono parti della terra in cui il progresso è ancora più che mai legato all'inquinamento! In sostanza, quello in cui viviamo non è un mondo lineare ed uniforme. Non ha
seguito uno sviluppo omogeneo. E noi europei (per es.) non possiamo rinnegare il nostro passato violento, che oggi per tanti versi siamo costretti a riconoscere in popolazioni che bussano con forza
alle porta dell'occidente. Guardando alla scuola c'è da preoccuparsi seriamente, poiché, nell'ansia di mantenere a una certa distanza chi non è al nostro livello culturale, stiamo imponendo a ragazzi
giovanissimi impegni quotidiani e regimi di vita insostenibili per la loro età, coi risultati controproducenti che sono sotto gli occhi, mentre fra coloro che bussano con tanto vigore al portone
dell'Europa e degli Stati Uniti ci sono masse di giovani privi d'istruzione ma animati da un forte istinto di conservazione: quale mostro multifacce ne uscirà dall'incontro e dalla fusione di realtà
così diverse? Quanto tempo occorrerà perché i nuovi Longobardi diventino semplicemente Lombardi?... La questione ultima è forse questa: oggi è giusto o no lottare con ogni mezzo nella consapevolezza
di doversi disperdere nella sintesi mondiale? Se la fisica ci insegna che ad ogni azione segue una reazione uguale e contraria; se una verità assoluta ci è negata mentre tante verità parziali sono in
crescente conflitto tra loro; è giusto tirare i remi in barca e lasciare che la corrente del mondo ci porti non si sa dove?
Davide Crociati