davidecrociatidibellaria
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                                                                 Bellaria Igea Marina, 28 febbraio 2023
 
L'esclusione inclusiva
 
A.: «Dai vieni anche tu!»
 
B.: «Ma no, grazie...»
 
A.: «Dai che ci divertiamo, siamo in tanti...»
 
B.: «Ti ringrazio, ma non so se posso... forse vengono a trovarmi dei parenti»
 
A: «Aaaah, mi dispiace... se tu venissi ci farebbe piacere, vedi tu...»
 
B.: «Ti ringrazio molto, adesso vedo, ma non garantisco niente...»
 
A: «Se vieni ci farebbe molto piacere, dai ! …va beh, vedi tu...»
 
B.: «Grazie, se posso vengo. Ma temo sarà difficile...»
 
A.: «Ve beh ...ti aspettiamo eh?»
 
B.: «Grazie mille, ciao, semmai vi faccio sapere...»
 
L'interlocutore A. gira le spalle silenziosamente e si allontana per andare ad abbracciare un'amica, esibendo sonore risate tra il mieloso e l'indispettito. Forse la «preda» designata è sfuggita alla gogna pubblica?...
 
Passa un giorno, B. trascorre il tempo tra un ripensamento e l'altro: da un lato vorrebbe evitarsi il calvario di una festa caciarona e priva di contenuti, dall'altra teme che dare forfait significherebbe auto-emarginarsi tradendo la propria timidezza o, peggio, la propria pusillanimità. Perché la terza via non verrebbe neppure presa in considerazione. Per chi non è ancora invischiato nel pantano dei luoghi comuni la terza via consiste nel scegliere di non partecipare ad una festa banale e chiassosa perché in tutta coscienza ci si rende conto che la vera socializzazione può aver luogo solo in ben altri contesti.
 
Alla fine B. decide di farsi forza e di non voler dare l'ennesima prova di «codardia». «Forse, in fondo, una volta lanciatomi dal trampolino m'accorgerò che bastano poche bracciate per rimanere a galla e magari imparo pure a nuotare», si ripete B. con una certa frequenza, assicurandosi senza troppa convinzione che ce la farà, che male che vada rafforzerà la propria convinzione rispetto alla falsità di certi personaggi capaci di farsi grandi solo a discapito delle persone più sensibili.
 
Dopo una giornata impegnativa B. si corica presto. Domani dovrà dunque decidere se partecipare o meno a quel tripudio orgiastico di galli e galline schiamazzanti. E l'inevitabile carrellata di pro e contro sostituisce nella sua mente intorbidita le classiche pecorelle e i normali pensieri pre-onirici.
 
Si fa giorno e con un certo sollievo B. si accorge di non doversi alzare per andare al lavoro. Ma la sensazione di leggerezza dura poco: nel pomeriggio ci sarà quel bordellistico ritrovo tra amici di facciata, in alcuni casi per modo di dire, e conoscenti più o meno occasionali. Così, improvvisamente, il buon umore lascia il posto a pensieri cattivi e pesanti. «Il carnevale non mi è mai piaciuto!», B. non fa che ripete nervosamente a se stesso. In effetti, per chi non apprezza certe «maschere» ogni festa di gruppo è un calvario. Per chi ama la solitudine non patologica, quella che permette di concentrarsi sulle verità del mondo (comprendessero anche la morte!), il set di un ritrovo ideato per «fare selezione» (quasi si trattasse di un provino cinematografico) si preannuncia sgradevole e fuorviante.
 
Ma B. decide di lanciare il sasso oltre il fossato e di buttarsi da quel famoso trampolino! «Chi è mai annegato per un tuffo in piscina?», si ripete il nostro ricalcitrante accogliendo in sé una spregiudicatezza che in certi casi proprio non gli appartiene.
 
B. suona il campanello senza «Martini» in mano, senza quell'espressione da macho raffinato e accattivante che hanno fatto di Clooney uno dei divi più amati dal popolo femminile. La porta si apre e già l'espressione di A. è lontana anni luce da quella assunta il giorno prima, quando con fare espansivo e con falsa empatia invitava B. a partecipare alla festa. La sala è affollata, i gruppi che si sono formati sembrano costituiti da atomi alleati in molecole già definite da chissà quale entità o meccanismo naturale, della serie «Dio li fa, poi li accoppia». Mentre A. non si è degnato di scambiare due parole col nuovo arrivato, quest'ultimo si sente smarrito e il pentimento per aver ceduto a quell'invito è già ben visibile sul suo volto corrucciato. Gli appare subito chiaro che nessuno lo aiuterà a superare quel momento critico, così la cruda perplessità dei primi istanti lascia il posto a una «maschera», poiché «se di carnevale si tratta - secondo B. - inutile far finta di trovarsi altrove...». In fondo quella non è che una recita ed è subito chiaro che una maschera serve, per non dover mostrare al mondo le proprie fragilità, o meglio, la propria forza. La forza di chi riesce ad essere se stesso in ogni circostanza, non servisse che a definire una distinzione chiara tra sé e gli altri, nella consapevolezza che spesso le minoranze hanno ragione. La paura di staccarsi dal gruppo elevandosi ad «entità autonoma» è ciò che rende pecora l'essere umano. Uomini e donne appartengono a una razza gregaria, spesso è sufficiente che il volatile di punta viri improvvisamente perché tutti gli alati che seguono facciano altrettanto.
 
In «Totem e tabù» (Totem = sacro, Tabù = proibito) Freud scrive che, se indotti da motivazioni profonde, gli individui tendono a comportarsi nella massa in modo diverso da come si comporterebbero individualmente (quante volte il genitore dice all'insegnante: «eppure, a casa, mio figlio è un angelo!»). Qualcuno può sostenere che ciò sia giusto e naturale, o che sia giusto in quanto naturale (poiché se questa è la natura umana non si può che prenderne atto). Tuttavia, ogni gregge ha bisogno di un pastore e qui si pone il vero problema: chi è il «pastore»? Chi si propone come guida materiale e/o spirituale? Per essere schematici, quali sono i reali fini per cui il «guru» di turno si pone al di sopra degli altri, o della massa? La questione esiste e diventa assai seria se «l'uomo-bestia» è necessario ai nuovi oligarchi, se l'uomo comune viene tenuto all'oscuro rispetto agli «impulsi» che oggi riceve, per esempio attraverso la pornografia presentata come sana o normale sessualità (e come passaggio lungo il percorso di liberazione da ogni imposizione morale!), ciò che avviene, per paradosso, grazie ai mezzi di comunicazione e alle mode imperanti. Sarà anche sensato ammettere i limiti naturali del «gregge umano», ma ciò non giustifica l'opportunismo delle élite, che, dall'alto dello strapotere economico di cui godono, grazie al quale possono permettersi di «muovere i fili» standosene vigliaccamente al riparo in luoghi dorati, pensano di situarsi al di sopra del bene e del male. Senonché, volendo ascoltare nonno Jung, «nessuno può stare al di là del bene e del male, altrimenti si troverebbe più che altro al di là della vita». E siccome «l'uomo in pace con se stesso dà il suo infinitesimale contributo al bene dell'universo», si può desumere che, avvalendosi del loro nuovo «codice morale» col quale cercano di scavalcare la vera etica, gli oligarchi eredi dell'empirista Locke e di Malthus, precursore della moderna sociologia inglese, viaggino sull'onda di una follia basata su un opportunismo «troppo umano». Purtroppo il loro «codice morale» tende a quella stessa semplificazione che ogni volta porta a individuare un comodo nemico, per paradosso a dispetto del nicciano «al di là del bene e del male» contrario ad ogni assolutezza o fondatezza della morale e che ha come presupposto la «non verità» quale condizione necessaria per la vita. Detta in parole semplici, se da una parte si ammette «il male», poiché il nemico di turno ne è invaso e per questo rappresenta un pericolo oggettivo, dall'altra si pretende di annullare il concetto di «peccato» per poter esprimere il peggio contro lo scomodo contendente, che rappresenta un ostacolo allo sviluppo dei propri interessi (economici, culturali, ecc.).
 
Avendo il soggetto B. colto in A. questa doppia morale, ha maturato in sé il fondato sospetto che anche nelle normali relazioni umane vengano applicati gli stessi schemi che a più alte sfere portano a «false alleanze» finalizzate al raggiungimento di obiettivi particolaristici. Era forse vera alleanza quella che portò al patto Molotov-Ribbentrop, ossia al trattato di non aggressione tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista grazie al quale Hitler e cricca si sentirono autorizzati a invadere la Polonia?
 
Ora B. si trova a dover gestire il proprio disagio, che rischia di farsi più profondo e compromettente. Si rende conto che quel contenitore rappresenta un «tempio magico» al cui interno si praticano riti alchemici allo scopo di forgiare una realtà utile a qualcuno, a discapito di qualcun altro. Come diceva il massone Freud, «il profano troverà difficile comprendere come disturbi patologici del corpo e della mente possano venir eliminati attraverso le «sole» parole del medico. Egli penserà che si pretende da lui la fede nella magia. Non ha tutti i torti; le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che magia sbiadita». In questo aforisma di colui che viene comunemente considerato il padre della psicanalisi si evince quanto sia condizionante la parola, nel bene come nel male. Su questo fanno leva i condizionatori del pensiero. La disponibilità pressoché totale dei mezzi d'informazione rende tutto più possibile, soprattutto se alle parole è possibile aggiungere musiche e scenografie, costumi e messaggi più o meno subliminali.
 
A B. piace credere che a volte «il meccanismo» possa incepparsi, soprattutto quando gli emarginati siano più di uno e riescano a coalizzare tra loro diventando una forza in grado di contrastare l'azione del gruppo dominante ben organizzato. La forza di un nucleo, anche se di dimensioni ridotte, può evitare traboccamenti di eccitazione. «La sostituzione del gridare sotto l'azione di stimoli dolorosi, con innervazione motoria di altro tipo, si verifica in tutti noi. Chi dal dentista si è proposto di tenere ferma la testa e la bocca, e di non interferire con le mani, per lo meno tambureggia con i piedi» (Charles Darwin). In solitudine è più difficile evitare di tradire il proprio imbarazzo, ma in sintonia con almeno un altro soggetto che viaggi sulle stesse frequenze tutto diventa più facile. Tuttavia, se nella cerchia ridotta si infiltra un elemento facente parte del gruppo dominante, non si può escludere che quel soggetto rappresenti tutt'altro che un «valore aggiunto», poiché il suo fine può essere quello di saggiare la caratura dei «dissidenti» per poi cercare di distruggerne l'unità allettando l'elemento o gli elementi di minor forza/affidabilità con la tacita promessa di includerlo/includerli nel «gruppo che conta», che in quel contesto rappresenta «la normalità». E il far parte della cerchia dei «normali» permette di soddisfare quel bisogno di sicurezza e di tranquillità che caratterizza il «gregge». Poi, saranno i marpioni della manipolazione di massa a dare ai «normali» l'illusione di essere «speciali». In questo la televisione è maestra. «Li vedete questi turisti, che vanno dappertutto e sono sempre alla ricerca di qualcosa, sempre nella vana speranza di trovarla...» (Carl Gustav Jung). Ecco, coloro che guardano la televisione come fosse una cosa utile o quanto meno normale sono un po' come quei viaggiatori che, prede di un'epoca estremamente irrequieta e confusa, nervosa e disorientata rispetto al modo di vedere la vita e di interpretare la natura, cercano un «centro di gravità permanente» che invece viene loro negato sistematicamente. Cambiare tutto per non cambiare niente (se non in peggio) è il motto dei manipolatori occulti, i quali si adoperano per generare «falsi miti» onde evitare che si creino quelli «veri», ben sapendo che «un uomo senza mitologia è puramente un fenomeno statistico» (C. G. Jung).
 
B. è ormai rassegnato ad assumere il ruolo di «mosca bianca», ma quell'esperienza dolorosa gli permette di rafforzare le proprie convinzioni, poiché ora comprende che il potere rivendicato (nel caso specifico dal «gruppo dominante» organizzatore della festa falsamente inclusiva, NdR) si ritorce sempre contro chi lo esercita. Infatti, la rivendicazione del proprio potere tradisce il timore di perderlo (sintomo di debolezza). È ciò che ha acutamente osservato una giornalista a Davos, in occasione dell'ultimo convegno tra ricconi del pianeta. Ancora una volta citando Jung, «è importante avere sempre un contenuto da portare in un rapporto, e spesso lo si trova nella solitudine». E con Jung proseguo questa breve riflessione: «Un uomo di oggi, che corrisponda più o meno all'ideale morale collettivo, ha fatto del suo cuore un covo d'assassini». Spesso si sente dire che nel secondo dopoguerra la televisione degli albori abbia contribuito a creare una coesione tra gli italiani e ad alfabetizzare molti cittadini, ma questa visione positiva può lasciare il posto a una forte preoccupazione nel momento in cui ci si renda conto che dietro l'informazione ufficiale, così come dietro la «scienza ufficiale» (che qualcuno dice abbia nelle riviste internazionali potenti armi di persuasione), si può annidare una mafia pericolosissima che nel tempo ha saputo legare i fili (a livello bancario, tecnologico, e della comunicazione in senso lato), tanto da potersi garantire un «potere magico» al quale la morale collettiva si sta miseramente assoggettando.
 
«Soltanto le persone che non hanno vissuto possono avere illusioni»; «l'illusione a cui volontariamente ci abbandoniamo si ripercuote su di noi, ci fa irreali, pazzi e inetti» (C. G. Jung). I media stanno creando una falsa realtà, allo scopo di impedire a tanti sprovveduti di vivere la vita per ciò che è. Uno dei risultati di questa operazione su vasta scala è visibile nella passività di troppi millenials, che oggi fanno la fila per poter assaggiare cibi a base di insetti che qualcuno ha descritto loro come squisiti e indice di un'apertura mentale, quella delle nuove generazioni che invece sono destinate a una schiavitù accettata come «normale condizione umana», perché un'informazione malata, esattamente come la mente di coloro che la costruiscono a tavolino per poi diffonderla su vasta scala, si sta insinuando nei cervelli acerbi e disorientati di questi giovani ormai capaci di «comunicare» solo attraverso i social. Anche nel caso dei millenials la parola «inclusione» è come una maschera civettuola che nasconde l'orribile volto di un «mago» malefico e senza scrupoli. Ebbene sì, oggi siamo in queste condizioni. La «festa» a cui siamo tutti invitati viene gestita da entità sovranazionali che sfuggono all'identificazione, ciò che rende la lotta quasi impossibile poiché combattere un nemico invisibile equivale a scagliarsi contro i mulini a vento.
 
L'unico rammarico di B. è ora quello di sentirsi una «mosca bianca», ma una nuova consapevolezza è maturata in lui: quella di non essere inferiore a nessuno dei presenti, insomma quella di non essere pecora. «Meglio soli che male accompagnati», è ora il suo motto, e il privilegio di non dover indossare una maschera lo fa sentire addirittura «superiore».
 
«Dove c'è opposizione c'è attrazione» (C. G. Jung). Oggi si tende all'omologazione, a un appiattimento generale verso il basso. L'omologazione dei sessi porta al depotenziamento della capacità riproduttiva (sembra quasi incomprensibile la fiducia dell'Illustre Gotti Tedeschi rispetto alla necessità del «sistema Occidente» a trazione anglosassone di riprendere a fare figli per risollevare le sorti della propria economia, poiché, francamente, appare evidente a tutti che si stia andando esattamente nella direzione opposta...). La migrazione di massa che sta minando alla base i diritti dei lavoratori porterà a un'omologazione socioculturale e anche le religioni ne faranno ampiamente le spese (come già si sta vedendo in tv, con tanto di suore che ballano e fraticelli che cantano le lodi di un sedativo fluidificante). Il «politicamente corretto» ha come finalità quella di omologare il pensiero nella direzione indicata dai guru delle multinazionali (il cosiddetto «pensiero unico»): nulla è più fuorviante delle sirene moderniste che promettono evoluzione laddove c'è involuzione, progresso laddove il regresso è evidente, libertà quando invece le conquiste giuridiche e sociali stanno evaporando una ad una a velocità supersonica. Si promette più ecologia quando ormai tutti sanno che le macchine elettriche sono più inquinanti di quelle a benzina, poiché un tipico motore elettrico può creare più inquinamento da CO2. E cosa pensare degli aerei che quasi ogni santo giorno rigano i nostri cieli formando spesso disegni inquietanti come la piramide - con al centro il sole! - che abbiamo potuto osservare in Romagna qualche mese fa, (magari fossero solo suggestioni)? Ci dicono, le sirene moderniste, che le singole Costituzioni devono sottomettersi ai diktat di una UE in mano ai banchieri centrali; ci vogliono far credere che la nuova religione sia la scienza (c'è da chiedersi allora chi siano i «nuovi profeti»: i «canterini» Crisanti, Bassetti e Pregliasco? Burioni , Capua e il sessantottino Galli? Ma via...). Ci dicono, le sirene moderniste, che oggi per fare la pace occorrono armi in quantità. Ha voglia la povera Meloni a tirare in ballo «motivi di ordine superiore» e di sicurezza nazionale. Diciamo piuttosto che oggi la Primo Ministro italiana si trova costretta a riconoscere in Putin «il nemico», quasi a voler ribadire in chiave atlantista quanto da lei riportato a pagina 171 di «Io sono Giorgia», citando la Thatcher: «Non hai nemici, dici? (…) se non ne hai, è infimo il lavoro che hai fatto». Diciamo che oggi la presidente del Consiglio sa bene di dover appoggiare l'America se vuol continuare a vivere... politicamente. E diciamo pure che in certi casi la paura fa novanta, soprattutto quando una madre coscienziosa ha la responsabilità di una figlia ancora piccola.
 
«Si ha il dovere di indagare ogni giorno la volontà di Dio» (C. G. Jung). Non credo ci si possa professare credenti per poi rinnegare candidamente i principi basilari della propria Religione non appena si detenga un potere o una posizione di prestigio. Dovremmo forse credere che ai politici sia concesso peccare di apostasia? Perché scegliere la carriera politica se poi bastano certi «poteri forti» per condurti alle porte dell'inferno? Mi chiedo se sia giusto ridurre il proprio credo a una pura dichiarazione verbale o, peggio, a un vestito della domenica.
 
La festa è giunta quasi al termine, il nostro B. ha trovato la propria dimensione e si è posto al centro dell'attenzione. Finalmente è in grado di scardinare le «certezze» dei presenti, i quali un po' alla volta si disgregano assumendo posizioni molto diverse, mentre alcuni si defilano imboccando silenziosamente l'uscio per cercare conforto nell'oscurità della notte. B. ha vinto, così come è entrato da «escluso» ora esce da «dominatore». È riuscito a recuperare e a rafforzare se stesso imparando a gestire paure e angosce. Ha saputo proiettare all'esterno i lodevoli risultati di questa sua lotta interiore. B. non si è piegato a prepotenti e ingannatori. Si è posto come esempio, come «possibilità altra». Ha capito che, mai dire mai, c'è sempre una prima volta.
 
«La nostra volontà è una funzione diretta della nostra riflessione; essa dipende quindi dalla qualità della nostra riflessione» (Carl Gustav Jung).
 
                                                                  Davide Crociati
 

 

 

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