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                                          Bellaria, 11 settembre 2015

 

Non ho detto gioia...

               (senzazioni e riflessioni di fine estate)

 

Le giornate si accorciano visibilmente, gli echi fin troppo squillanti di una voce in lingua tedesca giungono dal mare tagliando l'aria leggermente bruciacchiata di settembre, un po' come quando un bagliore allucinato entra in una stanza già semibuia rompendone l'armonia di accordi silenziosi e sofferenti.

I ronzii della vita quotidiana, la normalità, si percepiscono nell'aria: una betoniera è al lavoro, il rombo impietoso di un motore che passa giù in strada toglie spazio al pensiero, ed anche il silenzio dei gabbiani, che prima sfrecciavano sui tetti col loro grido caratteristico, sicuramente poetico ma allo stesso tempo curioso, quasi comico, ora che la gru non c'è, mette una certa malinconia.

E mi chiedo da dove arrivi questo chiasso continuo di sega elettrica, che fa pensare a un trattore al lavoro in un'annoiata giornata di campagna !

Il rumore soave di camion e automobili che a inizio estate echeggiava dalla lontana statale sembrava una musica un po' misteriosa e carica di speranze. Ora quella strana melodia si è offuscata e più che a un canto di libertà fa pensare allo stress e allo smog di una banale giornata lavorativa un po' allucinata, col sole riflesso sulla nebbiolina accecante e vuota.

Già, il destino vuole che i ritmi più naturali della libertà debbano rientrare in gabbia: subentreranno gli schemi del lavoro, gli orari prestabiliti, le costrizioni quotidiane, e tutto ciò allontanerà i pensieri dolci da calda stagione e attiverà il senso della caducità (della vita e di tutte le cose belle che possiamo o vogliamo immaginare).

Ormai l'estate ha i giorni contati. Il viale del tramonto disseminato di foglie secche è oltre il cancello e il cancello non è lontano: pochi passi ancora e lo troveremo, oltre la siepe, oltre la curva, semichiuso e austero, illuminato da un sole basso e accecante. Ma è un sole che illumina soltanto fuori, come si trattasse di una lampada da laboratorio medico, non assomiglia alla fonte di calore che in ben altre circostanze si insinua attraverso i sentimenti fino a raggiunge il cuore colmandolo di vita.

E subentra la nostalgia, imperante e impietosa. Cosa fare? Come gestire questo rinnovato dolore, ora che non ho più la leggerezza di un ventenne, ora che guardando in basso, verso i lontani bagliori della giovinezza, ho le vertigini e provo un crescente senso di impotenza, ora che si è molto assotigliato il numero dei personaggi che hanno disegnato il mio mondo?...

Nella sala d'attesa di uno studio medico dove ho accompagnato Anna per via di una fastidiosa infiammazione all'orecchio sinistro mi è capitata tra le mani una delle solite pallosissime riviste di gossip, nella cui pagina introduttiva il Direttore ha pensato di dover fare l'elogio del caldo tropicale umido e appiccicoso, come quello che ha caratterizzato questa estate da luglio fino a inizio settembre. Il giornalista che ha firmato l'articolo, che è anche un volto noto della tv, dice che il caldo offre molti vantaggi, che è inutile lamentarsi, che bisogna prenderla con filosofia.

E rifletto. Tengo a precisare che le seguenti parole sono il risultato di una “riflessione” del tutto personale. Pertanto non hanno la pretesa di assumere una valenza sociologica, filosofica e tanto meno “didattica”. Aggiungo tuttavia che tale riflessione è il risultato di osservazioni, meditazioni, esperienze di vita personali (anche nel collettivo) di un individuo, me medesimo. Un individuo che in ogni caso, volente o nolente, appartiene a un universo, a un mondo e a una determinata società. Quella occidentale.

 

In ogni fase storica, nel popolo, è riscontrabile un certo grado di coscienza collettiva. In ragione di ciò, a seconda dei casi, le leggi possono essere più o meno elastiche e succede che a volte l'inconscio condizioni gli organi sia legislativi che giudicanti contribuendo a definire in quale modo e in quale misura le leggi stesse e le regole in senso lato, debbano essere rispettate e fatte rispettare. Va da sé che le grandi crisi (dalle fondamenta per lo più economiche) impongono al popolo un grado di coscienza diverso, apre squarci di verità rimaste a lungo sopite. Ma allo stesso tempo ricaccia nella parte oscura della psiche altre verità, alle quali in quel dato momento storico non è sostenibile dare il giusto peso, la giusta importanza.

Non follia, dunque, ma sottile (inquietante) pragmatismo. In tempo di grave crisi economica e sociale le maglie della tolleranza si stringono per evitare un flusso eccessivo di follia, a volte malsana se è “matematicamente" determinata dalla sofferenza dovuta a una perdita inaspettata di qualità riguardo al modo di vivere e di pensare. Ciò vale sia per la collettività che per i singoli individui. In tal caso un problema grave sta nel fatto che le sopra citate entità, legislativa e giudicante,  scendono dalla sfera razionale a quella irrazionale o “diversamente razionale” dell'inconscio. Questo fa si che gli esiti delle decisioni che vengono prese dall'alto, pardòn, dal basso, dove l'intreccio sempre possibile tra elementi razionali (sarebbe meglio dire pseudo-razionali) ed elementi viscerali della psiche propri dell'uomo animale, siano alquanto insondabili, con conseguenze che possono essere imprevedibili in senso sia positivo che negativo. Quando sono di segno negativo, può essere che si vada verso una fase ancora peggiore. se non addirittura verso la catastrofe.

Ci sono situazioni in cui la crisi spirituale che attanaglia le persone sta nell'ambiguità delle circostanze, nell'incapacità di definire nuovi valori e nuovi metri di giudizio (dal momento che è difficile per tutti mettere a fuoco o anche soltanto inquadrare i meccanismi inconsci ai quali ci si deve affidare). E' quindi inevitabile che il doversi sottomettere a un giudice con marcati tratti aleatori determini una tale insicurezza, nei “giudicati”, da rasentare in taluni casi la patologia.

Ovviamente qui faccio riferimento soprattutto al momento storico che stiamo attraversando e che, per certi versi, accosto al passaggio stagionale dall'estate all'autunno, o forse sarebbe meglio dire dall'estate all'inverno direttamente (baipassando la stagione di mezzo).

 

                                                    Davide Crociati

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