Frega il prossimo come te stesso !
Non è piacevole sentirsi come un vecchio straccio unto d'olio, gettato in una discarica maleodorante e rinsecchito dal sole pesante di un'estate africana insensibile alle sofferenze dei viventi, animata soltanto dal ronzare violento di insetti sgradevoli il cui unico scopo pare sia quello di sopravvivere senza alcun motivo e solo per il breve tempo che la natura sadica e inclemente concede loro. Direi quasi un'estate senz'anima, nella sua staticità, habitat del tutto inadeguato alle ingenue aspettative di chi, grazie al vento di speranza a suo tempo generato dal boom economico, conobbe aspetti dell'animo umano, e del mondo ospitante, oggi pressoché dimenticati. Infatti, in fasi economicamente più favorevoli ci fu consentito di sviluppare architetture illusorie e vere e proprie scuole di “alpinismo immaginario”, attraverso le quali si pretendeva di acquisire e di trasmettere la capacità di arrampicarsi sugli specchi del desiderio, quello totalmente privo di sovrastrutture, come se la procreazione fosse solo una questione spirituale, priva di tutti quegli appesantimenti che la dimensione materiale del mondo invece impone, regolarmente. L'alpinista folle di un tempo ha dovuto quindi riscoprire a proprie spese la forza di gravità, insindacabile, della realtà nuda e cruda. E si ritrova con il fondoschiena dolorante, a diretto contatto col duro terreno! Oggi siamo ridotti a vecchi chitarristi vestiti da pagliaccio, coi capelli alla Jimy Hendrix ma appesantiti nel corpo e con la pelle avvizzita. E se alla vecchiaia non c'è rimedio, una foltissima schiera di nuovi illusionisti che pare non siano proprio in grado di fare altro cercano disperatamente le loro “pareti impossibili”, e nuove scuole di scemenza (o di demenza) si materializzano in quantità, come i funghi in autunno, nella speranza di riannodare i fili di una fantasia ubriacante, e distraente rispetto a una realtà fatta di mosche assatanate che ronzano attorno a uno straccio vecchio unto di olio e rinsecchito dal sole...
Oggi gli artisti cosiddetti sembrano succubi della tecnocrazia, i cui feroci guerrieri non si accontentano di offrire ai “creativi” la possibilità di disporre dei nuovi mezzi: il “tecnico” reclama il giusto spazio, ma spesso finisce col pretendere di sostituirsi all'artista mettendosi al centro della scena. E così anche la musica popolare si imbarbarisce a causa di una tecnologia dilagante che in ultimo affibia pure etichette autoreferenziali a nuovi generi o sottogeneri di sua proprietà. In questo contesto si innestano coloro i quali usano la musica a sostegno della lotta di classe, giustificando il suddetto imbarbarimento spesso dovuto a incompetenza, etichettandolo come “voce di un popolo”, quello dei sobborghi delle grandi città (per es.), quello che ha necessità di far sentire al mondo intero il suo disagio economico ed esistenziale. Del resto è comprensibile che una classe sociale succube si comporti in un certo modo: al bambino che “si butta per terra” non si può attribuire colpe, poiché il poverino non riesce ad esprime diversamente il proprio disagio.
Come al solito credo che “il problema” non stia nel fenomeno in sé, non certo allo stato nascente, quanto piuttosto nel fatto che prima o poi esso è destinato a essere inquadrato all'interno di “schemi incongrui”, cotruiti ad hoc da chi ha tutto l'interesse ad addomesticare i “nuovi rivoluzionari” (è la storia che si ripete). Schemi che, per i più, non possono che rivelarsi vere e proprie “camicie di forza”! Ma non è tutto: i paladini del “movimento” di turno finiscono sovente col saltare il fossato per ritrovarsi con entrambi i piedi su quello stesso terreno che prima consideravano ostile. In pratica, vengono “comprati” dal sistema che inizialmente si proponevano di combattere.
Se uno scopo della controparte è quello di sottomettere il “popolino” relegandolo nei bassifondi della sottocultura da cui proviene, non si può e non si deve chiudere gli occhi sul fatto che una seconda finalità del blocco ideologico (o anti-ideologico) dominante, che pure avrà i suoi pregi ma che lungo il suo percorso è destinato ad assumere sempre più le sembianze di un organismo minaccioso, spesso causa di malattie sistemiche che interessano la società anche e soprattutto nelle sue parti più genuine e migliori, può consistere nello sfruttare la miseria culturale piegandola a proprio strumento propagandistico, destinato a infoltirne le file e ad ingrassarne il corpo. Col tempo i germi dell'individualismo così come del suo contario (spesso gli estremi si congiungono) possono intaccare gli organi vitali di un'intera comunità fino a ridurla in macerie: scenari desolanti come quelli che ci pervengono quotidianamente dalla Siria riconducono all'immagine iniziale di questa breve riflessione.
Ma se non è piacevole sentirsi come uno straccio unto d'olio in una discarica fatiscente, altrettanto non lo è sentirsi simile ad una preda inerme invischiata nella tela di un ragno e la cui l'unica prospettiva sia quella di finire nello stomaco del temibile predatore, che francamente fa anche un po' schifo. Se nell'epoca in cui viviamo la trama dell'aracnide non può rappresentare più di tanto un'ideologia sul tipo di quelle che hanno caratterizzato la storia del secolo scorso, lo stesso non si può dire per la grande e terribile alleanza senza volto né identità, che da tempo sta unendo i fil: Possiedono molto, gli oscuri padroni del pianeta, a discapito di chi invece ha sempre meno ed è in caduta libera. Un sistema, questo, che non si basa necessariamente sul merito, se non su quello di saper accumulare denaro (anche i mafiosi, i super spacciatori di droga e i rapinatori di banche possono guadagnare tantissimo e non per questo vanno considerati grandi uomini, fino a prova contraria!). Ecco, quando gli arricchitori di professione “rubano” lo spirito di rivalsa a un ceto sociale sottostante secondo me fanno un lavoro sporco, dal momento che tolgono la possibilità di trovare consolazione in qualche nuova forma espressiva, anche se di poco valore artistico. Quando si dice Rock, per esempio, si deve fare distinzione tra quello degli esordi, quello degli anni settanta (estremamente fantasioso e vitale, a volte persino "colto") e quello “appiattito” dei periodi successivi (per non parlare della miriade di sottoprodotti derivati).
Questo volevo dire, in considerazioni precedenti, quando affermavo che il consumismo più becero e il suo esatto contrario alla fine si saldano in un unico “mostro” dalla doppia faccia. Una convivenza improbabile che la dice lunga sulle contraddizioni della natura umana, o della natura in senso lato. Non è un caso se oggi grandi contraddizioni stanno emergendo a livello politico e sociale. Lo sport non fa eccezione: se da una parte è sinonimo di salute e di civile convivenza nella diversità (l'accettazione delle regole, il rispetto dell'avversario e così via) non raramente diventa contenitore di malaffare e di numerose scorrettezze (uso di sostanze dopanti, ecc.). Se la natura è “perfetta” (M'annoia docet!) allora dobbiamo accettare le tante contraddizioni che la caratterizzano e che spesso si manifestano proprio attraverso l'operato degli esseri umani, che ne sono parte integrante (ciò varrebbe anche se provenissimo da marte...).
Avviandomi verso la conclusione di questo mio piccolo ragionamento pongo alcune domande legittime: il fatto che la natura sia piena di contraddizioni, che queste si manifestino soprattutto nelle nostre azioni quotidiane, giustifica la condotta di chi mostra una faccia per nasconderne un'altra (a volte diametralmente opposta)? Se la risposta è NO, l'ingenuità deve essere rivalutata come condizione di livello superiore rispetto a quella di chi, più o meno consapevolmente, esprime “incoerenza controllata” attraverso le proprie azioni. Oggi invece l'ingenuità appare come la peggiore delle etichette, tant'è che è diventata sinonimo di stupidità e/o di immaturità. Quasi preferiamo chi frega il prossimo, sulla scia della nichilistica consapevolezza che “tutto è relativo”, ma poi non ci soffermiamo a sufficienza sulle conseguenze che derivano dall'accettazione passiva del nulla valoriale.
Il malessere spirituale del nostro tempo non è forse una conseguenza riconoscibile della malattia derivata da progressivi scompensi, ad effetto domino, verificatisi nella società? Premesso che non sempre per curare un dente occorre estrarlo, quando siamo malati nel corpo non ci rechiamo forse dallo specialista affinché ci prescriva una cura adeguata? Come stiamo curando, oggi, in Italia, l'economia malata? Meglio prima che poi, speriamo di trovare “buoni medici”! Sempre che la "farmacologia occulta" non decida di vanificare gli sforzi profusi dalla migliore medicina.
Davide Crociati