Bellaria Igea Marina, 6 Settembre 2022
Spazi liberi
Noto che Stefano Montanari del movimento «VITA» fa distinzione tra libertà e licenza e non si può che essere d'accordo con lui quando, mentre da un lato si esprime con grande rigore a tutela dei bambini (che oltre che essere indifesi rappresentano il nostro futuro), dall'altro cerca di tenere alta la bandiera del diritto a salvaguardare spazi individuali che secondo il ricercatore vanno protetti qualora non danneggino il prossimo. Tuttavia, anche a titolo provocatorio in queste mie modeste riflessioni continuerò a parlare di «concetti diversi» di libertà, partendo dalla definizione ufficiale di ciò che probabilmente rappresenta il valore più alto in assoluto e per il quale si è spesso disposti a dare la vita, definizione secondo cui la libertà è uno «stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale e politico». Sennonché il concetto di «morale», «presupposto spirituale del comportamento dell'uomo, specialmente in rapporto con la scelta e il criterio di giudizio nei confronti dei due concetti antitetici di bene e di male», secondo la definizione trovata online, deve oggi fare i conti con la «necessarietà», del male, che la massoneria internazionale (probabilmente senza distinzione di area) cerca in tutti i modi di rendere «naturale» a chiunque abbassi la guardia, per motivi che possono essere i più svariati, rispetto a valori di fondo che rappresentano autentici baluardi a difesa della specie di appartenenza. Parlo di valori etici che albergano anche in seno alla Chiesa cattolica, oggi più che mai osteggiata dai poteri forti, per di più attaccata dall'interno da personaggi che per il solo ruolo che occupano dovrebbero risultare «insospettabili». Quindi parlerò di «libertà degenerata», per esempio in riferimento a un omicidio volontario o colposo (senza fare troppe distinzioni, come nel caso di un automobilista in stato alterato di coscienza che investa una persona togliendole la vita o procurandole menomazioni più o meno gravi e permanenti). Oppure in riferimento alla pedofilia, secondo me il peggiore dei crimini per tutta una serie di motivi che credo chiunque possa facilmente intuire, o almeno chiunque sia ancora in grado di scavalcare con la dovuta disinvoltura, a piè pari, nella pienezza delle proprie facoltà mentali, i viscidi tentativi di sdoganare sottovoce questo terribile reato. Reato che una volta depotenziato a livello giudiziario potrebbe attecchire e svilupparsi in maniera insidiosa nella società sotto forma di «libertà ampliata».
Sta emergendo il dramma di una falsa verità costruita su un telaio linguistico, che trova il suo terreno di coltura nell'ignoranza dilagante contro cui la scuola dovrebbe combattere ma che in troppi casi alimenta introducendo nei propri programmi contenuti e modus operandi orientati verso il deserto valoriale di Davos (leggasi Agenda 2030). All'interno di questo «film» fantascientifico con risvolti distopici, abilmente costruito da registi prezzolati e da produttori vicini a certe eminenze grigie situate al vertice della struttura piramidale, è piuttosto facile orientare le coscienze sull'onda di musiche meravigliose che possono diventare sciocche architetture dense di melodie ammalianti e di armonie avvolgenti in mano a mostri malthusiani senza scrupoli, che odiano i figli degli altri allevando i propri secondo disvalori chimicamente verniciati di falsa filantropia. Non è poi così difficile, anzi è facilissimo unire la musica più commovente a immagini false col risultato che, fidandosi di abili e super pubblicizzati professionisti «del cinema», i destinatari del «messaggio» si abbandonano facilmente alle correnti del sentimento e della commozione e come in un fiume in piena vengono trascinati verso la cascata dis-valoriale con esiti immaginabili.
«Libertà è partecipazione», recitava Gaber in una canzone che ha fatto epoca, canzone in cui viene riassunto il pensiero del filosofo, scrittore, pedagogista e musicista Russeau, francese di famiglia calvinista convertito al cattolicesimo per poi tornare a idee calviniste e per approdare infine al deismo, filosofia religiosa razionalista che vede in dio un Essere Supremo ordinatore ma esterno al mondo, con caratteri di «religione naturale». Oserei dire che neppure questo frammento di saggezza, che è dovuto filtrare attraverso una canzone forse non a caso diventata assai popolare, può tranquillizzare dal momento che libertà nel significato che ne consegue significa «essere parte di qualcosa, in cui tutti rivestono un proprio ruolo e tutti contribuiscono al bene comune, nonché «essere ascoltati», poiché la propria opinione vale quanto quella degli altri (fino a prova contraria, ndr). Come dicevo neppure queste ventate di apparente buonsenso possono contribuire a metterci il cuore in pace dal momento che tutto può essere riconducibile in ambiti dai contorni nebulosi pur mantenendo unita una propria logica: essere parte di qualcosa non significa nulla poiché questo «qualcosa» potrebbe voler dire tutto e il suo contrario, in positivo come in negativo. Anche un ambito mafioso rappresenta «qualcosa» (per intenderci). Proseguendo nell'analisi della frase citata, dentro questo imprecisato «qualcosa» tutti rivestono un proprio ruolo e tutti contribuiscono al bene comune. Poi resta da vedere se e quanto il «bene comune» rappresenti il bene dell'intera collettività o di sola parte di essa (più probabile), magari perfino di una minoranza (e non è detto che rappresenti la parte migliore della società). Che la propria opinione valga quanto quella degli altri è altresì tutto da dimostrare, così come è da dimostrare che su questioni scientifiche un carpentiere o un falegname ne sappiano quanto un grande (e onesto) scienziato che abbia dedicato una vita alla ricerca e a studi specifici e complessi. Per cui tutto rimane relativo e generalizzare è sempre difficile, se non impossibile. Mi rendo conto che di questo passo rischiamo di entrare in un caos generalizzato da cui è difficile uscire. E la babele dei pensieri è esattamente ciò che qualcuno vuole. Tuttavia, porre maggiore attenzione sui trabocchetti filosofici sempre in agguato è legittimo se non doveroso, soprattutto quando i canali scelti per diffonderli sono la musica (in particolare quella leggera/pop), il cinema, la televisione, la letteratura e più in generale quei «prodotti artistici» e quei mezzi di comunicazione di idee ed emozioni che rendono possibile fondere realtà e fantasia in un unico calderone, con effetti decisamente pericolosi se non devastanti in termini manipolatori (all'interno di un problema assai più ampio quello della manipolazione delle masse è un aspetto che tendo sovente a sottolineare nelle mie pur modeste – ma sentite – riflessioni).
Nel suo “Meglio regnare all'inferno” il bravo Mario A. Iannaccone ci vuole ricordare che «il decadere della “funzione scientifica” delle produzioni letterarie, ovvero del romanzo in grado di interpretare il mondo (Zola, Moupassant, Balzac, Dickens, James, Gončarov, Dostoeskij ma anche Verga o De Roberto), portò alla pratica di una narrazione del male (...)». Prosegue, Iannaccone, dicendo che «la criminologia, che attinge da psichiatria, sociologia, epidemiologia, manca di un “linguaggio comune” e ciò fa si che essa non possa essere considerata “scienza autonoma”, bensì luogo in cui differenti discipline si interrogano sui delitti e sui loro autori. Il luogo che unifica tutte queste discipline è dunque il racconto». E certi racconti da film horror (riempiti di pubblicità e forse di qualche messaggio subliminale) suscitano l'interesse di un vasto pubblico. Osservazioni interessanti che possono aiutarci a cogliere meglio la veridicità storica o scientifica di tante opere e trasmissioni televisive di successo.
La «licenza» è la facoltà o autorizzazione concessa nell'ambito di un rapporto gerarchico, è qualcosa che richiede vi sia un'autorità che possa concederla o meno. Alla luce degli sviluppi politici e istituzionali degli ultimi anni (e non solo), guarda caso coincidenti col periodo covid nella loro fase di maggiore accelerazione, sappiamo che chi è preposto a emanare leggi e decreti, quindi a concedere licenze e autorizzazioni, non è sempre dalla parte giusta. Vi sono esempi storici super citati ma che fanno testo, come le leggi razziali introdotte dal regime fascista nel 1938 che hanno decretato l'inizio della fine dell'era mussoliniana, una fase delle vicende umane che deve farci capire (e mai dimenticare!) come a volte essere «fuorilegge» significhi trovarsi dalla parte giusta! Chiunque conosca un minimo di storia contemporanea provi a smentire questa mia affermazione! Quando si parla di «rispetto della legge» proviamo a partire dai peggiori e più sanguinari regimi dittatoriali o totalitari (in questi ultimi, l'ampia partecipazione popolare allo scempio collettivo deve farci ampiamente riflettere anche sul valore del termine «popolo», poiché una massa fortemente contaminata da idee malsane non può neppure invocare giustizia senza scivolare nella più profonda ipocrisia, avendo maturato gravi malattie autoimmuni a livello etico e morale).
Oggi si tende a punire severamente chi non accetta di «curarsi» facendosi iniettare sieri sperimentali i cui effetti collaterali, in certi casi devastanti, stanno emergendo giorno dopo giorno (non mi riferisco tanto alle notizie che circolano quotidianamente sui social, bensì alle numerose testimonianze dirette che personalmente sto raccogliendo e che parlano di medici e specialisti concordi nel ritenere responsabili questi sedicenti vaccini a m-Rna di effetti collaterali anche molto seri), mentre i coni d'ombra sui nuovi «farmaci» sono davvero preoccupanti e giustificherebbero ben più cautela da parte dei governi e dei relativi consulenti sanitari. Come possono, allora, le persone di buonsenso sottostare a condizioni coercitive basate sul ricatto (perdita del lavoro, isolamento sociale e così via) rinunciando a quanto di buono la società civile ha portato in termini di empatia, di vera solidarietà e di amore per il Sapere, quello che si esprime nel desiderio di conoscenza, nella passione dettata dal piacere di acquisire nozioni e competenze? Come si può chiedere, al cittadino pensante, di far defluire il proprio rispetto per la collettività lungo il versante totalitario dell'insensibilità sociale per poi vederselo precipitare nel lago putrido della discordia e della delazione (dicasi dichiarazione segreta con finalità di tornaconto personale)?
Quando in una mia precedente riflessione sulla «libertà» dicevo che «l'uomo non ha le ali per poter volare» (nel senso che non può pretendere l'impretendibile neppure in termini di autodeterminazione, dovendo egli fare i conti coi propri simili essendo un animale sociale e gregario), non intendevo dire che non deve camminare pur avendo le gambe per poterlo fare o che non deve ragionare pur essendo dotato di un cervello! Anche nei limiti di un Corale destinato al «gregge» il grande Johann Sebastian Bach sapeva far emergere la sua magia compositiva; per contro, tanti musicisti spaziano in lungo e in largo ignorando qualsiasi confine stilistico e temporale ma con risultati tutt'altro che poetici. Forse il loro fine è puramente ideologico.
Insomma, orientarsi nel marasma della globalizzazione non è per niente facile se non si è disposti a raccogliere i propri pensieri e la propria sensibilità entro i confini dell'esperienza acquisita, per utilizzarla come fosse una roccaforte o un metaforico carro armato (non vorrei essere frainteso poiché le armi sono anche strumenti di difesa e fino a prova contraria difendersi è un diritto) in attesa dell'implosione di questo «sistema perverso e contro natura» il cui scopo è annullare i valori etici fondamentali (giustizia, libertà, equità) al fine di creare un brodo di coltura utile solo alla «finanza creativa» e a un'economia pauperistica, a una ridefinizione degli spazi geopolitici e identitari, alle multinazionali che stanno via via sostituendo aziende e negozi, all'ideologia malthusiana che vorrebbe ridurci a soli 3 miliardi di anime. Parole e musica del ministro Cingolani, della serie «chi vuol capire è servito su un piatto d'argento».
Davide Crociati