Bellaria, 12 Ottobre 2021
In prima linea
Sabato 9 ottobre 2021 per la prima volta mi sono trovato faccia a faccia con le forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Fino a quel momento non avevo incrociato gli sguardi preoccupati e gli occhi spesso luccicanti per la commozione di uomini e donne in divisa, disposti in linea a fare blocco; non avevo assistito direttamente al confronto tra file compatte di militari e una «massa non indifferente» di cittadini preoccupati per le sorti della società (posso testimoniare che si tratta di un eufemismo, poiché a Roma eravamo davvero in tanti!). E a posteriori ho potuto rendermi conto una volta di più di come sia marcata la differenza tra ciò che dichiarano i media “ufficiali”, tra loro ben raccordati, e quanto accade effettivamente in piazze come quella romana: anche se quasi tutti sanno che i disordini purtroppo fisiologici, forse causati dalle solite «entità», non sono assimilabili alle proteste messe in atto da cittadini che sentono solo il dovere di agire per una legittima e forse giusta causa, l'informazione governativa crea spesso incertezze e perplessità, quando addirittura non rovescia la frittata. Forse è questo il suo vero scopo. Togliamo il forse?
Alla manifestazione ho scattato diverse foto nella speranza di immortalare particolari interessanti che in quei momenti concitati si sarebbero dissolti per via delle dinamiche inusuali, delle situazioni convulse e caotiche in continua evoluzione. Gli attimi che ho fissato parlano di una storia triste: una storia di fratelli e sorelle costretti ad assumere un ruolo e a subire etichettature ingiustificate. Infatti, coloro che hanno generato disordini (quelli sì puntualmente ripresi dalle telecamere Rai e Mediaset) non rappresentavano i veri manifestanti, che invece erano persone normali, civili, certo molto preoccupate. La vera manifestazione è stata quella organizzata sulla base di conoscenze ed esperienze dirette (vicino a me c'era un medico - ora sospeso - la cui figlia è stata rovinata dal “siero magico”), ma anche basata sulla logica e sulla riflessione, nonché su un senso dello Stato non ancora scalfito da questa politica di cartapesta che ha preteso di assorbire con troppa disinvoltura la parola inciucio (oltretutto pessima), poiché oggi siamo al punto in cui vale tutto e il suo contrario. Situazione pericolosissima per una società civile!
Ho quindi voluto immortalare i volti sia dei manifestanti che dei poliziotti. E non mi sento di condannare questi ultimi, neppure per l'uso dei manganelli che, ho notato, si piegano al contatto. Anche se tutti sanno che ciò che conta è il gesto. Anche se da qualche altra parte in effetti si sono viste immagini di feriti sanguinanti. Anzi, per quei poliziotti ho provato una pena sincera, un sentimento che non mi avrebbe abbandonato neppure se avessi subito percosse in prima persona! Ieri nei momenti che precedevano gli scontri fisici, quelli in cui i confini si facevano labili e l'adrenalina saliva rapidamente, era forse possibile cogliere l'essenza di ciò che in senso lato sta accadendo, in Italia ed oltre: quando ai cittadini viene tolta la terra sotto i piedi e chi ha in mano le leve delle Istituzioni vuol inibire loro ogni possibilità di dubbio e di dialogo, essi dapprima vengono colti da smarrimento e la reazione immediata è un fuggi fuggi generale, ma poi il pensiero collettivo si ricompone rafforzato e più agguerrito. Così, l'irrigidimento delle posizioni è cosa fatta: il divario tra manifestanti e forze dell'ordine (uomini e donne di età diverse) aumenta impedendo alle componenti di legare tra loro in nome di una giustizia più giusta, quella che purtroppo non fa comodo a chi deve affossare valori fino a ieri ritenuti inattaccabili per fare spazio al tavolo da gioco allla filosofia di personaggi equivoci e di giocatori d'azzardo dai nomi altisonanti.
In un attimo di calma mi sono avvicinato a un Agente, ho provato a fargli una domanda e lui, alzandosi cortesemente la visiera del casco, mi ha detto con tono pacato di non poter rispondere (attenendosi evidentemente a una disposizione ricevuta). Solo grazie all'obiettivo della mia Canon ho notato una famigliola al completo, asserragliata dietro il vetro della finestra d'un grande palazzo: si notavano un uomo, una donna e due bambini, il più grande dei quali con la bocca spalancata per lo stupore. Vicino a loro un'anziana donna dall'espressione tirata, quasi una figura d'altri tempi, sembrava volersi nascondere per pudore al mio obiettivo. Mentre l'elicottero della polizia roteava con finta discrezione sul cielo di Piazza del Popolo, dalla finestra di un altro palazzo posizionato sulla parte opposta c'erano tre sacerdoti in nero le cui espressioni tradivano invece una certa noncuranza. Una giovane donna col fisico da modella e una voce stridente urlava in faccia ai poliziotti «giù le mani dai bambini!», forse destabilizzandone qualche certezza. Personaggi folcloristici con trombette ed altri arnesi rumorosi si mischiavano a gente normalissima e (in fondo) tranquilla. Tutt'intorno si percepiva una normalità quasi da supermercato. I cori da stadio facevano pensare a un evento sportivo più che a una guerriglia. Quella (la guerriglia) si stava accendendo altrove. Forse programmata da quelle stesse «entità» che nei giorni successivi avrebbero puntualmente sfoderato termini come «fascismo» e «squadrismo». Forse messa in atto allo scopo di definire in modo inequivocabile «un nemico» da consegnare ai centurioni dell'informazione. Le false flag, si sa, sono sempre in agguato. Perché alla scuola di «terrorismo istituzionale» pare siano considerate il trucco più efficace per disorientare le menti.
Mi hanno detto che c'erano anche bambini, in mezzo al putiferio. Un uomo già a terra è stato picchiato, sanguinava. Ma non erano Agenti come quelli che di fronte a me avevano gli occhi lucidi e sembravano inebetiti dalle urla della giovane madre col fisico da modella? Mi dicono che altrove c'era in programma un video di Mons. Viganò, il prelato senza peli sulla lingua che molti (me compreso) vorrebbero Papa al posto del gesuita Bergoglio, ma con durezza la Digos ne ha impedito la trasmissione.
Sembra proprio che da tempo lo Stato ci stia imponendo una linea, da seguire senza se e senza ma. Come non pensare, allora, alle parole di Francesco Cossiga che intervistato da Luca Giurato disse di avere fatto un errore enorme nel segnalare Draghi (definendolo «vile affarista») all'allora Presidente del Consiglio Berlusconi?
Come non porsi dubbi sulla prematura scomparsa di un bravo medico dai grandi progetti che curava con successo malati di covid usando cure alternative? Come non pensare allo «scherzetto» che le sette sorelle del petrolio combinarono a Enrico Mattei dopo che il nostro aveva deciso di affrancare l'Italia dai potentati internazionali facendo accordi diretti coi paesi del Mediterraneo? Come non accorgersi che il politicamente corretto assomiglia sempre più a una grande ragnatela mondiale che in maniera subdola cattura pensieri e sentimenti, in seguito divorati dal ragno arcobaleno a forma di triangolo? Come non temere che questa Babele sia stata creata ad hoc sull'esempio di certe tecniche da Tavistock, attraverso le quali è possibile svuotare una mente (in questo caso una società) per riempirla di ben altri contenuti?
Sembra che «divide et impera» sia il motto dell'attuale Presidente del Consiglio, allievo di quel Federico Caffè che parlava di «incappucciati della finanza» e scomparso misteriosamente, quasi a voler alimentare l'ennesima leggenda complottistica...
Davide Crociati
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