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                                                                                                                                                 Bellaria I.M., 7 Febbraio 2018

 

Basta che se ne parli...

 

Parlarne bene? Parlarne male? Basta che se ne parli!” Così ragionano coloro che di pubblicità se ne intendono anche minimamente...

Ho la viva sensazione che gli “antifascisti” autodichiarati abbiano bisogno del fascismo come del pane quotidiano, tanto da sentirsi letteralmente inutili in assenza di un Duceto anche minimo. Si sentono inutili e persi nel baratro di una storia senza senso. In sostanza, aria fritta.

Lo stesso antiberlusconismo non è che un teatro permanente i cui personaggi e interpreti assumono un ruolo ben definito, abbandonare il quale significherebbe per loro finire nel precipizio disintegrante dell'oblio.

Sicuro di non percepire in me un DNA fascista, non capisco perché in questa campagna elettorale un po' naif (per usare un eufemismo) alcuni stiano facendo i salti mortali per sostenere un'idea di razzismo che al di là delle apparenze non trova riscontro nella realtà. Voi dite razzista e io penso emarginato, disadattato, psicopatico, miserabile. O pazzo tout court. Come si fa a spiegare il razzismo ai giovani, i quali, in quanto esseri umani, percepiscono nel proprio DNA verità recondite che poco hanno a che vedere con sovrastrutture ingombranti ma ufficialmente e banalmente riconosciute come “verità inattaccabili”? Non è una pericolosa semplificazione investire di infamante razzismo un enorme disagio personale? Io credo di sì, perché quando ciò accade la debolezza della mente rischia di fare il resto, soprattutto se sotto l'effetto di certi stupefacenti (non tutto)... Non si può negare che molta stampa definisca “pericolosi semplificatori” i cosiddetti polulisti antieuropei, per poi semplificare a propria volta laddove in riferimento al razzismo sarebbe invece opportuno parlare di miseria umana. Oggi siamo schiavi di troppi termini ingombranti e fuorvianti. Siamo prigionieri di vari retaggi, come ad esempio quello linguistico-culturale e quello teorico legato alle tradizioni delle religioni monoteistiche. Questi dibattiti politici interminabili e ripetitivi, quindi, assomigliano sempre di più a un cane che si morde la coda. Persino le parodie di Crozza vengono vanificate da una realtà fatta di personaggi al limite della comicità più autentica: quella involontaria!

Le tante promesse che non potranno mai essere mantenute si fanno sostanza in un gioco illusionistico che presuppone come dato di fatto la stupidità o quanto meno l'ingenuità della gente cosiddetta comune (Tavistock docet). Quella che andrà a votare. Ma il popolo, più che stupido, è stanco e preoccupato. Stanco dopo una vita di lavoro di sacrifici e di rinunce. Stanco di invecchiare nello spirito prima ancora che nel corpo. Non parliamo dei giovani, capitolo assai dolente...

                                                                                                                                       Davide Crociati

 

 

                                                           

Bellaria I.M., 11 Febbraio 2018

 

Cacofonia e fattore tempo

 

 
Qualcuno potrebbe sostenere che il debito pubblico italiano, per quanto sia aumentato ulteriormente negli ultimi anni, abbia frenato la sua folle corsa verso il defualt. Un aumento controllato, quindi, nella cui chiave di lettura non si può non considerare il trend positivo. Nel caso di questa interpretazione il fattore tempo costituisce un elemento la cui importanza supera quella dei numeri che compaiono nelle tabelle sempre un po' asettiche.
Ma il fattore tempo è molto importante anche per quanto riguarda il fenomeno migratorio: una cosa è ospitare frettolosamente e senza alcun criterio una massa di disperati, un'altra è rallentare sensibilmente il processo per poter organizzare un progetto di accoglienza vera. Accoglienza di persone (non di razze ma) di etnie assi alternative alla nostra. Ciò allo scopo di evitare una pericolosa sovrapposizione di culture per tanti versi ancora incompatibili. Qui non ci si riferisce ai non pochi stranieri disposti ad accettare le nostre regole e nei limiti del possibile il nostro miglior stile di vita, ma - senza scomodare i potenziali terroristi - a tutti i migranti economici che partono e che partiranno dalla terra d'origine col presupposto di “addomesticare” noi, gli ospitanti.
Attenzione perché se oggi i numeri sono ancora relativamente gestibili domani sarà sicuramente peggio! Proprio perché, al di là dei facili proclami, organizzare una vera integrazione su vasta scala richiede tempi ragionevoli, cioè lunghi. Il fattore tempo non va mai sottovalutato, quindi, ed essere aperti e altruisti non significa necessariamente dover vestire i panni degli agnelli sacrificali. Forse l'incapacità gestionale, per altro del tutto comprensibile nella situazione in cui ci troviamo, non dovrebbe usare come scudo termini e presunte recrudescenze ideologiche che per lo più rappresentano pericolose semplificazioni (di una realtà oggettiva, la quale non può non fare i conti anche con l'istinto di conservazione).
La più bella delle musiche diventa cacofonica se le sue componenti viaggiano separatamente, ossia in maniera disorganizzata.

 

                                                                      Davide Crociati

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