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                                                          Bellaria Igea Marina, 5 Marzo 2024

 

Riflessione sulla Bellezza

 

Sembra che storicamente si sia creato uno stretto rapporto tra bellezza e bene nella sua accezione di «intimamente appagante», forse in un'ottica più spirituale che materiale. In genere la bellezza viene associata ad equilibrio e armonia, a simmetria e proporzionalità secondo l'estetica degli antichi greci. Artisti e musicisti contemporanei ci hanno tuttavia indicato nuove strade, perseguire le quali ha spesso significato travalicare i confini delle più solide tradizioni filosofiche che probabilmente (o forse no) hanno preso forma ed espresso sostanza solo grazie (o a causa di) contingenze storiche. Sennonché, nel nuovo millennio che a ragion veduta viene anche definito «era della tecnologia», le possibilità di agire sul piano materiale sono aumentate in maniera considerevole e sembrano destinate ad auto alimentarsi in modo esponenziale, tanto che perfino esperti del settore iniziano a mostrare perplessità e preoccupazioni. Nel pensiero comune il concetto stesso di bellezza è forse destinato a cambiare, poiché l'intelligenza artificiale supererà di molto i limiti delle capacità umane, per esempio in termini di indagine, di velocità e di capacità di memorizzazione, ciò che in teoria potrebbe portare l'uomo a potenziare curiosità e creatività ma sulla base di algoritmi che sarebbe sciocco escludere possano sottendere progettazioni funzionali solo a qualcuno a discapito di altri, che possano quindi aprire la strada al peggior hackeraggio si riesca a immaginare. Dunque l'uomo sta lavorando alacremente per superare se stesso senza considerare il fattore tempo, ossia la necessità di rispettare, rispetto al progresso e alle innovazioni, i necessari tempi di metabolizzazione: proviamo a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se i nostri antenati di 150.000 anni fa (un'inezia rispetto a tempi e spazi dell'universo) avessero avuto a disposizione armi sofisticatissime e avessero imparato a usarle nel momento in cui sarebbe bastato premere un semplice pulsante. Certamente si tratta di un'idea bizzarra, di pura fantasia priva di riscontri. Ma, oggettivamente, oggi ci troviamo ancora nelle vesti di esseri primitivi rispetto a quelle che sono le possibilità di una mente artificiale in grado in istruire se stessa e di auto-potenziarsi su basi algoritmiche. Se sulla base di schemi prestabiliti dovesse emergere che (per questioni di potere e per favorire gli interessi economici e culturali della società d'appartenenza) conviene innescare un conflitto catastrofico, usando per esempio armi nucleari, qualche idiota umano che si ritrovi in una posizione di potere potrà arrivare a orientarsi verso il peggio? Chi può seriamente escluderlo guardando la storia dei conflitti umani e considerato che già oggi il mondo è in fiamme?

«Nell'età moderna, quando il dissidio e le contraddizioni si fanno così aspre ed estreme da mettere in gioco il destino stesso dell'uomo - secondo Franco Rella, esperto di estetica e autore di numerosi saggi tra cui «L'enigma della bellezza» - il concetto di bellezza riappare come l'idea che rende visibili le differenze senza distruggerle». Non mi sembra che le fondamenta filosofiche del «mondo nuovo» prevedano il rispetto delle diversità, dal momento che viviamo in un'epoca in cui, per paradosso, vengono considerati «diversi» tutti coloro che non rispondono ai canoni della «normalità» stabiliti e diffusi dai poteri forti (le lobby internazionali che ben conosciamo) attraverso i governi fantoccio, le Istituzioni pubbliche, i mass media, i vari settori della cultura (o della sottocultura) e via dicendo. Partendo dal Rella pensiero, se consideriamo il ruolo che stanno assumendo in maniera evidentissima gli organi d'informazione e di propaganda mainstream, attraverso i quali si mira invece all'omologazione del pensiero e dei comportamenti, viene da sé che per i lobbisty artefici di guerre e crisi economiche e culturali, minoranze e diversità rappresentino il grimaldello per attrarre stolti e ingenui, ignari e ignavi, anche allo scopo di diffondere accidia e apatia, vendendo falsa filantropia che rischia di esplodere come un ordigno arcobaleno in mano a un'umanità inebetita da anni di propaganda annichilente di chiaro stampo dittatoriale. È di questi giorni un articolo secondo cui Bergoglio indica l'accidia come «patologia sociale». Bergoglio che in gioventù, quando era ancora un giovane sacerdote, ha dovuto fare ricorso alla psicanalisi freudiana e forse per questo motivo egli appare particolarmente attento all'introspezione in chiave psicologica, spostando su un piano secolarizzato problematiche di natura spirituale (ciò di cui l'attuale pontefice viene spesso accusato anche in ambiente ecclesiastico).

Non senza un minimo di malinconico divertimento da qualche parte leggo che «chiunque di noi, privato, professionista o azienda, può contribuire alla diffusione di un nuovo modo di concepire la bellezza, lontano dagli stereotipi e pregiudizi. Basta avere il coraggio di essere l'eccezione alla regola». Resta il fatto che nel promuovere un determinato prodotto un'azienda si rivolge al maggior numero possibile d'individui, e che, se l'operazione di mercato riesce, sortisce il risultato di contrarre «l'eccezione» creando una nuova tendenza e quindi una nuova uniformità. Piccolezze?

«Quando giudichiamo bello un oggetto, un'opera d'arte, una persona, un paesaggio, nel nostro giudizio si manifesta qualcosa che “sentiamo” e che nello stesso tempo non riusciamo a dire, ovvero a definire, in termini logico-concettuali»: è quanto dice Giuseppe Di Giacomo, filosofo e saggista italiano, tra le altre cose autore di numerose pubblicazioni scientifiche relative al legame tra estetica e letteratura. Riguardo al «sentire» ci sarebbe tanto su cui riflettere: bando ai troppo facili complottismi (messi in circolo solo per screditare verità sacrosante quanto scomode), la nuova dittatura planetaria si è posta tra i principali obiettivi quello di agire sulla «percezione» dei singoli, al fine di raggrupparli in un unico, grande contenitore sotto il controllo delle élite transnazionali, le quali gestiscono i grandi numeri e costringono i popoli a fare quotidianamente i conti con cifre trascurabili (ricordo assemblee sindacali e riunioni collegiali interminabili per discutere sulla possibilità o meno di percepire incentivi risibili, in realtà assai scoraggianti dal punto di vista professionale e umano).

Personalmente ritengo che la bellezza debba essere gratificante, non solo per gli occhi ma anche per lo spirito, che gli occhi li «usa» come mezzo per osservare e mettere a fuoco persone e cose sul piano materiale, ragion per cui sarebbe opportuno ed anzi di vitale importanza non porsi in competizione con l'intelligenza artificiale (la sola definizione di queste nuove tecnologie fa pensare a qualcosa di estraneo alla natura umana, qualcosa che per alcuni versi ricorda un motore truccato). Opinioni personali? Ciò non toglie che bellezza e fatica (quest'ultima legata al lavoro necessario per conseguire risultati apprezzabili anche per l'originalità scaturita dall'anima e non da gelidi algoritmi) siano tra loro spesso unite simbioticamente. In effetti c'è da chiedersi quanto possa gratificare un risultato «esteticamente perfetto» (verrebbe da dire «fumettistico») ottenuto sulla base di procedimenti sistematici di calcolo non gestiti direttamente dal cervello, inteso come organo le cui funzioni costituiscono la psiché. Credo altresì che la vera bellezza, come il diritto (secondo la concezione del martirizzato Moro), non possa prescindere dall'etica poiché è collegata ad alcuni grandi valori e all'esperienza esistenziale delle persone. Bella è la libertà dopo avere conosciuto la prigionia, bella è l'idea di uno Stato veramente democratico dopo avere vissuto l'esperienza di una dittatura coi suoi algoritmi asfissianti. Anche l'imperfezione può contribuire a una percezione di bellezza, poiché allontana dalla dittatura della «perfezione» imposta alla collettività sulla base di analisi asettiche (un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza ha indicato un nuovo metodo di analisi che utilizza gli algoritmi per indagare le proprietà del volto dalle quali dipenderebbe la percezione della sua bellezza). Il rischio di creare stereotipi è sempre dietro l'angolo, figuriamoci se chi gestisce l'intelligenza artificiale non possa avvalersi di un livello tecnico altissimo per creare modelli utili alla causa di una particolare visione delle cose, in ultimo non si può escludere fuorviante e pericolosa per la collettività.

Il termine «bellezza» può comprendere vari aspetti e può essere riferito anche a una forma di libertà che deriva dalle semplificazioni dell'esistenza, in termini di soddisfacimento di tante necessità individuali (aggiungerei «vere o presunte») che l'intelligenza artificiale può offrire; soddisfacimento che sulla carta si potrebbe tradurre in leggerezza, tempo libero e indipendenza, ma anche nel suo contrario, dal momento che masse di individui rischieranno di dover presto gestire la pesantezza d'una vita senza occupazione, quindi senza remunerazione. Cosa che in parte sta già accadendo. «La tecnologia renderà i cittadini sempre più indipendenti, dando loro un nuovo strumento per far valere la loro opinione, coordinare gli sforzi e forse eludere l'autorità del governo», scrive Klaus Schwab a pagina 90 de La quarta rivoluzione industriale. Si parla spesso di correlazione tra benessere psicofisico e bellezza, e si dovrebbe presumere che un mondo «più leggero» grazie all'IA possa sortire effetti positivi sulle condizioni psicofisiche degli individui partecipi del progresso tecnologico avanzato, quindi con ricadute positive perfino sull'aspetto fisico. Senonché, lo stesso Schwab aggiunge: «Scrivo “forse” in quanto potrebbe avvenire anche il contrario: nuovi strumenti tecnologici potrebbero essere utilizzati per le attività di controllo da parte delle autorità pubbliche, che diventerebbero così potentissime». Va da sé che in una condizione claustrofobica di controllo pressoché totale i visi delle persone si irrigidiscano per effetto di continue contrazioni muscolari, dovute alle pressioni subite e al disagio del vivere quotidiano, e che (di conseguenza) perdano luminosità, elasticità e vigore. Già oggi è abbastanza difficile distinguere certe maschere tristi da carnevale veneziano dai volti di tanti cittadini che si accalcano sul Ponte di Rialto piuttosto che a Piazza San Marco, o in campo San Maurizio in cui si trova quel Palazzo Zaguri al cui interno è possibile visitare Esoterica Exhibition, la prima mostra al mondo su Spiritismo e Massoneria, dove è impossibile non osservare numerosi volti inquietanti, compresi quello di Marie Curie e di altri personaggi più o meno inquadrabili in ambito teosofico ma a cui vengono spesso intitolate scuole secondarie di primo e secondo grado.

Quanta bellezza offuscata da tristezza e disperazione, quanto mal di vivere possiamo osservare negli sguardi e nei visi di tanti tossicodipendenti... Non so perché ma vedo accendersi una luce rossa quando leggo che «nel 2013 Medellin è stata nominata “Città dell'anno, un riconoscimento ottenuto per l'approccio innovativo alla gestione della mobilità e la sostenibilità ambientale e che ha permesso alla città colombiana di avere la meglio su New York e Tel Aviv» (pag. 101 de La quarta rivoluzione industriale, del citato Klaus Schwab). Se si pensa a quanta droga arriva dalla Colombia per entrare nei «normali» circuiti cittadini, sia nelle grandi città che nei piccoli paesi, si dice anche per tramite di artisti famosi dalle opere stravaganti, viene il sospetto che certo potere malavitoso ambisca a trovare legittimazione internazionale in questo mondo realmente al contrario e sempre più indulgente verso l'uso di certe sostanze (basti pensare alla campagna pro-liberalizzazione di Soros il pregiudicato, le cui navi portano indiscriminatamente masse di migranti in età da combattimento all'interno degli Stati un tempo sovrani, eludendone principi etici e relative leggi a tutela dei più fragili). Che la droga tolga bellezza mi sembra fuori discussione nella misura in cui il disagio che deriva dal manomettere fisico e cervello porta inevitabilmente a conseguenze anche di tipo estetico. E allora vien da pensare che la bellezza, quella autentica, abbia come presupposto una partecipazione armoniosa al Creato, conseguenza di scelte fondamentali come quella tra bene e male (tra ciò che giova/nuoce all'essere umano). Quindi, ritengo non sia un nasetto alla francese piuttosto che un naso aquilino alla Dante Alighieri a fare la differenza, o l'avere orecchie a sventola piuttosto che orecchie piccole e composte a legittimare/delegittimare la bellezza di una persona. Conta piuttosto la sua armonia complessiva che si riflette in uno sguardo limpido e puro. Non credo sia retorica ricordare a noi stessi che gli occhi rappresentano lo specchio dell'anima, che la bellezza di una donna non si misura nelle dimensioni del seno o del posteriore e tanto meno nelle caratteristiche del trucco e degli abiti che indossa, quanto, piuttosto, nella frequenza dello sguardo, nella purezza del sorriso e nella scioltezza delle sue movenze.

Mi si consenta di ricordare che gli ultimi festival di Sanremo hanno rappresentato il trionfo della bruttezza e del cattivo gusto, in linea con la strategia del degrado a livello planetario posta in atto da personaggi disarmonici, i quali, giocando a fare i demiurghi e alimentandosi delle loro stesse illusioni si sono incaponiti nell'idea malsana di modellare il pianeta su base patologica (del resto le patologie che affliggono questi signori sono ormai visibili e palpabili, almeno per chi sa/vuol vedere). Non serve più neppure usare parole pesanti per descrivere il nulla valoriale a cui essi ci stanno trascinando in massa come fossimo pecore al macello, verso un destino inquietante quanto ignobile entro una dimensione in cui la parola «libertà» farà sempre più rima con falsità e omertà, per effetto di una sfiducia collettiva che sempre meno trova vie di fuga verso qualcosa di più decoroso e ...bello. Così può succedere che una BigMama da Sanremo approdi direttamente all'ONU (com'è piccolo il mondo!) e che sulla scia di belle parole condite da qualche verità passino messaggi non esattamente elevati, poiché Marianna Mammone (coscientemente o meno) si è concessa alla Woke culture oggi così di moda in tutta la sua intolleranza, forse non volendo considerare il fatto che la nuova religione della «arrogant justice» rappresenta il grimaldello per elevare al demiurgo massonico minoranze squadriste dal piumaggio variopinto e una minoranza ahimè privilegiata è costituita dal manipolo di autori di canzoni che stanno modellando l'ingenua sensibilità di giovani e bambini (si spera non quella degli adulti...), all'insegna di tonalità tristi, spesso minori, quindi malinconiche, come può esserlo uno spazio senza vie di fuga, e di ritmi africani in omaggio alla migrazione di massa. Prova ne sia l'uniformità annichilente di tanti pezzi, sostanzialmente di stampo rap, anche se regolarmente introdotti da sdolcinature pseudo romantiche, le cui vibrazioni hanno mosso l'aria della riviera ligure sino a raggiungere via etere milioni di telespettatori, in Italia e all'estero. Forse è giunta l'ora di sfatare il mito delle minoranze succubi, poiché i poteri forti stanno usando a pieno regime certi gruppi indubbiamente minoritari per imporre una filosofia del gregge il cui imperativo è: «mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali». E animalesco appare un certo modo di ballare di cantanti e conduttori, i quali, dimenandosi a schiena curva e a braccia penzolanti, finiscono per sembrare scimmie dai costumi brillantati. Tutto un gioco? Di sicuro si sta giocando col fuoco di una natura che a lungo andare potrà farci male, perché violarla significa ledere noi stessi dato che ne siamo parte integrante. Non a caso, in riferimento a donne e uomini del futuro, sembra che anoressia, bulimia, isolamento e autolesionismo rappresentino tratti caratteristici. Insomma, siamo già un pezzo avanti. Queste ultime competizioni sanremesi, che in buona parte sanno di «già definito» (non lo dico io), hanno sembrato voler mettere in scena la società artificiale del futuro proponendosi come sua cornice canora; società che apprendisti stregoni della cibernetica al servizio della delinquenza organizzata travestita da filantropia vorrebbero manipolare (perché, come ho ripetuto più volte in mie precedenti riflessioni, di questo si tratta). E per la verità lo stanno facendo già da tempo. Sebbene la differenza tra bene e male sia piuttosto evidente, con tutte le eccezioni del caso, così come ciò che è bello si differenzia da ciò che è brutto (nelle diverse accezioni), oggi si vuole intorbidire le acque perché qualcuno all'ombra o anche nella luce di un sole troppo alto possa agire indisturbato. E a fini manipolatori cosa c'è di più efficace dell'effimero, di ciò che pur nella sua transitorietà lascia tracce nella memoria di cervelli sempre in cerca di pretesti per svincolarsi da una (a volte scomoda) concezione umanistica della società, posto che l'esistenza umana sia regolabile sì tra esseri umani, attraverso un'etica fondata su ragione ed empatia, ma anche elevabile attraverso il senso del divino, poiché, come qualcuno dice, la storia del pensiero occidentale mostra che lo stesso sviluppo della scienza naturale non si può separare da idee fondamentali che derivano dalla tradizione giudaico-cristiana? La fede cristiana fornisce «verità» di cui la scienza non può rendere conto, ma può usarle come premessa per le sue operazioni deduttive. Dio (o la natura) pur lasciando l'uomo libero di scegliere lo ha tuttavia reso capace di distinguere tra ciò che (quanto meno) sembra migliore o peggiore non solo in termini utilitaristici. Anche una bella canzone può ridursi a un melenso agglomerato di suoni e ritmi, timbri e forme, qualora il motore spirituale (orribile definizione) abbia sede nella stanza oscura dell'autore con la «a» minuscola, intendendo per «parte oscura» non tanto l'inconscio quanto la «cripta» che la dimensione in ombra dell'essere accoglie, dentro la quale vegeta il male universale che ciascuno può percepire e far crescere dentro di sé. Posto che la «pirateria» non venga annoverata tra le cose normali o addirittura positive, ciò che in un mondo a testa in giù può tranquillamente accadere.

Riguardo alla bellezza, che come l'arte è oggi difficilmente inquadrabile, se qualcuno dice che essa rappresenta «la capacità di essere e di vivere nel proprio equilibrio interiore» (vedi anche teoria junghiana del Sé), può essere interessante sapere cosa ne pensano (o ne pensavano) personaggi in vista, alcuni dei quali l'equilibrio sembrano averlo perso per strada, a volte non si capisce quanto «per copione» o piuttosto per motivi, diciamo così, naturali.

«La cosa più importante è quella di godersi la vita, essere felici è tutto ciò che conta», pare dicesse l'attrice Audrey Hepburn, secondo cui per avere begli occhi bisogna cercare la bontà negli altri e per avere labbra attraenti è utile o necessario pronunciare parole gentili. Sennonché, ho visto occhi belli e labbra attraenti anche in chi oggi esterna parole non proprio affettuose all'indirizzo di automobilisti dal piedino lento e troppo in linea con la stucchevole filosofia dei 30 all'ora, forse utile soltanto a chi, nonostante la fretta di raggiungere il posto di lavoro, riesce a godere del delicato canto degli uccellini (i quali, nel frattempo, potrebbero anche essersela colta). Una «filosofia» che a mio avviso è destinata ad aumentare l'aggressività degli automobilisti.

Per Dostoevskij «la bellezza è il nome che si dà all'inequivocabile manifestarsi del bene». Se il grande scrittore aveva ragione, in questo mondo al contrario non può esistere bellezza perché tutto sembra orientato verso il male, verso ciò che non è in linea con le reali necessità della specie umana oggi definita «cancro del mondo», ragion per cui, in tutta evidenza, certi benpensanti vorrebbero ridurla a soli tre miliardi di anime, salvo volerci imporre una dittatura sanitaria sempre più stringente, trovandone una paradossale quanto ridicola giustificazione nel «bene collettivo». Ciascuno giudichi quanto siano credibili questi nuovi dei del «nulla cosmico»). Secondo Oscar Wilde «la bellezza è una forma del Genio, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni». Eppure oggi pretendiamo di dare una spiegazione a tutto. Anche se cercare risposte fa parte della natura umana (ben venga la curiosità su quanto succede intorno!), tuttavia rientra nella nostra indole anche la capacità, in certi casi, e non sempre per fare semplice spettacolo, di ingannare il prossimo attraverso capolavori di prestidigitazione (il compianto Piero Angela ci ha messi più volte in guardia rispetto ai fenomeni paranormali, al rischio di cadere vittime di inganni assai ben orditi). Vorrei citare un'altra frase di Oscar Wilde, perché non si dica che sono omofobo nonostante in precedenza io abbia definito «squadracce fasciste» certi gruppi variopinti che a volte sfilano con arroganza per le vie cittadine roteando manganelli verbali al limite dell'inammissibilità, anche davanti a quegli stessi bambini inferiori agli otto anni ai quali non si vuole più consentire di interiorizzare pensieri che non rientrino nell'alveo della cultura LGBTQ+.

Per Kalil Gibran «la bellezza non è nel viso, ma nella luce del cuore». Forse aveva ragione il poeta libanese naturalizzato statunitense, e vengono i brividi pensando a quanta luce è stata tolta al cuore di giovani atleti e di madri di famiglia a causa di malori tanto improvvisi quanto incomprensibili (chi volesse, può leggere il mio scritto «Sulla scia di Giorgia» sul Sito www.davidecrociati.it - Scritto N° 151 del 20-01-2022). Secondo il torinese Fabrizio Caramagna, definito «il ricercatore di meraviglie», autore di aforismi alcuni dei quali tradotti in ben dodici lingue, «una cosa bella è bella anche con le luci spente e se non c'è nessuno a guardarla». Infatti. A volte sarebbe saggio spegnere la televisione, accendere un bel fuoco per chi ha la fortuna di possedere un caminetto, o anche semplicemente stare al lume di candela, per cercare di ritrovare dentro di sé verità che il «nuovo mondo» di Amazon e più in generale delle multinazionali vuole nasconderci per sempre, lasciando campo libero a mille falsità che, proprio in quanto tali, non faranno mai rima con bellezza.

«La bellezza è il nome delle cose che non esistono, che io do alle cose in cambio del piacere che mi danno»: questa frase è di Fernando Pessoa, scrittore e poeta portoghese che qualcuno ha voluto equiparare a Neruda. Una frase che potrebbe fare il paio con quella (già citata) della Hepburn: «La cosa più importante è quella di godersi la vita, essere felici è tutto ciò che conta». Pessoa era uno scrittore eteronimo, termine col quale nella scrittura letteraria si indica uno pseudo-autore, o autore fittizio; termine che tra il ventesimo e il ventunesimo secolo ha trovato in «multi-uso» un sinonimo riferentesi alla diffusione della cultura digitale e della cybercultura (uso quotidiano del computer e di internet da parte della massa). Grandi scrittori, attori, poeti, artisti, scienziati, ecc., possono condizionare il pensiero comune unicamente per le loro specifiche «capacità operative» a prescindere dal valore che esprimono in termini di verità? Parafrasando un cantante e autore oggi costantemente agli altari della cronaca nonostante i suoi 72 anni...suonati, i grandi personaggi sono donne/uomini famosi, ma sono giusto uomini/donne. Nietzsche li definirebbe «umani, troppo umani», sottolineando quel «troppo» che ha rappresentato la base della sua stravolgente filosofia. In fondo i «muscoli mentali» non sono molto diversi da quelli fisici che sviluppiamo in palestra o praticando sport. Come sempre, ciò che fa la differenza è l'uso che ne facciamo.

«Chiudere le finestre della bellezza è contro la ragione e distrugge il vero significato della vita»: lo diceva Claude Debussy, uno dei massimi esponenti del simbolismo musicale. Stando a questa etichetta imposta dai soliti critici, che il compositore pare tuttavia rigettasse sdegnosamente dato il suo carattere inconciliabile, egli voleva esprimere un mondo interiore per mezzo di allusioni simboliche (per Sigmund Freud il simbolo è un surrogato o elemento sostitutivo che rappresenta fantasie e desideri radicati nell'inconscio). All'epoca di Debussy il mondo si stava aprendo al fascino delle culture esotiche e il materiale musicale da lui utilizzato ne sarebbe una prova (scala esatonale, ecc.). Tuttavia potrebbe nascere il sospetto che la ricerca dell'artista sia stata in parte travisata, eludendo il fatto che sarebbe possibile scindere ciò che rientrava in una vera evoluzione del linguaggio musicale (nella fattispecie) da ciò che invece veniva calato dall'alto, ovvero dai salotti signorili che prendevano dettami dalle solite lobby pigliatutto (vedi anche l'analisi di Gotti Tedeschi-Pennetta relativa al fenomeno Gershwin). Credo che Claude Debussy avesse ben chiaro il concetto di evoluzione artistica, fermo restando che anche la sua produzione è stata incanalata da critici indottrinati secondo le «necessità» delle accennate élite. E oggi la storia si ripete, con la differenza che molti sedicenti artisti ostentano simboli massonici, un po' per gioco un po' per accettazione di un sistema che comunque li arricchisce e ne sorregge la fama. Insomma, mi piace pensare che certa produzione artistica del passato abbia conservato una parte di autenticità (vedi anche il caso di Stravinskij, che pur esprimendo novità importanti – non a caso Ennio Morricone era un suo grande estimatore - si dice fosse connesso alla Roud Table, Associazione tra i cui fondatori figura Lord Alfred Milner, Grande Sorvegliante della Loggia d'Inghilterra e cofondatore della Pilgrims' Society, alcuni «tentacoli» della quale risultano essere la Trilaterale, il Clan Bilderberg e i potenti Istituti di Affari Internazionali angloamericani, il RIIA e il CFR. Com'è piccolo il mondo...).

«La bellezza non si cura neppure degli dei», diceva qualcuno. Speriamo valga anche al presente, se per «dei» intendiamo la cricca di malaffare che imperversa su noi tutti come una tempesta di escrementi maleodoranti. Mi piace riprendere per un attimo Dostoevskij, le cui parole spero siano di buon auspicio per chi non vorrà arrendersi alla falsa evidenza secondo cui non ci sarebbe ormai più nulla da fare: «L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! … La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza».

«La bellezza di qualsiasi tipo, nel suo sviluppo supremo, eccita sempre l'anima sensibile fino alle lacrime» (Edgar Alla Poe). Questa esternazione del grande, poliedrico intellettuale statunitense ci dice che anche in racconti dell'orrore può annidarsi il bello, sotto forma di atmosfere altamente romantiche. Perfino nei film di Dario Argento gli atti più efferati fanno da contraltare a vicende umane la cui intensità è direttamente proporzionale al raccapriccio dei delitti commessi.

«La bellezza non ha causa: Esiste. Inseguila e sparisce. Non inseguirla e rimane» (Emily Dickinson). Si dice che la poesia più famosa della poetessa americana sia «I Died for Beauty», che tradotto significa «Morii per la bellezza», composta nel 1862 (anno di nascita di Debussy). Secondo lei il poeta sarebbe una sorta di medium capace di captare e tradurre i messaggi provenienti dalla natura misteriosa. La Dickinson confessò il suo amore platonico per la cognata Susan H. Gilbert Dickinson, definendola «la mia Beatrice». Forse anche per questa sua «ampia sensibilità» il critico Vittorio Sgarbi a Rimini l'ha definita una delle più grandi poetesse americane, se non la più importante (del resto Elisabetta Sgarbi ha dichiarato di essere cresciuta leggendo proprio Emily Dickinson).

«Il criterio della verità è la bellezza», recitava Hans Urs Balthasar, presbitero e teologo svizzero. Questa massima si aggancia a quella dello statunitense Buckminster Fuller, architetto, designer, scrittore e conduttore televisivo, nonché docente universitario alla Southern Illinois University, secondo cui quando si lavora a un problema si pensa a risolverlo ma non si pensa alla bellezza. Una volta finito, se la soluzione non è bella significa che è errata.

Se come diceva Platone «la bellezza è universale e non dipende da chi la osserva, perché è contenuta nell'oggetto stesso, nella creazione», oggi assistiamo a un delirio di onnipotenza di pochi individui senza patria che cercano di modellare la sensibilità di ciascuno allontanandola progressivamente dalle bellezze della natura. Evidentemente sono pazzi e potranno fare solo ulteriori danni.

 

                                                                           Davide Crociati

 

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