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                                                                        Bellaria Igea Marina, 1 Settembre 2023

 

Bigini di scuola media e cocchine di papà (e mammà)

 

Sembra che al giorno d'oggi i confini siano diventati il nemico da combattere con ogni mezzo, compresa la diffamazione diretta e indiretta. Anche se i poteri forti (che esistono, a dispetto di quanto asseriva qualche tempo fa un noto scrittore e, sporadicamente, opinionista televisivo) stanno oggettivamente disegnando un nuovo quadro al cui interno limiti e confini esistono eccome, anche se destinati a imprigionare i popoli dentro spazi troppo angusti). Fermo restando che certi personaggi di alto lignaggio saliti improvvisamente agli altari della cronaca potrebbero facilmente rappresentare «cavalli di troia» utili alla causa mondialista (quindi non semplicemente alla destra o alla sinistra, ormai soltanto cibo per il gregge affamato di certezze e di tranquillità).

Nel caso specifico, in questa modesta «composizione bitematica» un confine cui faccio riferimento nell'introduzione (Tema 1) è quello tra bravura e fortuna, componenti del successo che spesso stanno tra loro in un rapporto simbiotico più di quanto si possa o si voglia immaginare (certamente è una mia opinione, ma se la mettiamo in «matematica» credo di non essere così distante dalla realtà), poiché anche nella possibilità di riconoscere e di sviluppare determinate doti o capacità personali risiede una buona dose di fortuna (come, per esempio, quella di essere «figli d'arte»). Chi avendo avuto genitori giornalisti occupa spazi su giornali e riviste destinati a un pubblico più o meno vasto dovrebbe, a mio avviso, avere la decenza di mantenere un briciolo di umiltà anziché sparare sentenze alquanto opinabili al riparo di una presunta copertura costituzionale, e farebbe bene a non gettare fango su chi opera presso Istituzioni pubbliche destinate a un'utenza in assoluto tra le più complesse (dicasi scuola media, definizione per altro obsoleta).

Fatta la doverosa premessa (sulle prime, mi rendo conto, abbastanza indecifrabile per via di accostamenti apparentemente insensati), in questa società nuovamente fascista e intrisa di inquietante sostanza comunista (mi riferisco a un comunismo ormai tutt'altro che «all'italiana», o almeno tale era nell'immaginario della cosiddetta gente comune), è quanto mai difficile scindere il bene dal male, ovvero distinguere coloro che agiscono in buona fede poiché credono nelle proprie idee e nel proprio agire, da coloro che invece (Tema 2) si adoperano per attirare a sé speranzosi creduloni per poi condurli in un binario morto, allo scopo di lasciarli marcire nelle loro aspettative disattese.

Quando un Generale della folgore osa dire che la comunità Lgbtq+ non rappresenta la «normalità» in termini puramente numerici, e lo fa mettendo nero su bianco altre argomentazioni alquanto scomode, se non rischiose per la sua propria carriera, i casi sono due: (1) i tempi sono abbastanza grami per mettersi seriamente in gioco, costi quel che costi (alla faccia dei «limiti» imposti dall'alto); (2) i tempi sono abbastanza bui per cedere alla tentazione di condurre acqua ai mulini dei poteri forti, anche a rischio di perdere la faccia ma con la speranza di trarne qualche grosso beneficio per altri versi, in altre sedi (alla faccia dei «limiti» dettati dall'etica e dal buonsenso). Ma noi poveri «normali», che dovremmo dimenticare come tempi addietro anche un politico molto blasonato si dimostrò «tollerante» verso l'evasione fiscale (data la grettezza - secondo lui - di uno Stato che egli in primis rappresentava, uno Stato esoso quanto impietoso verso i cittadini inermi, desiderosi soltanto di poter lavorare onestamente), non possiamo fare altro che prendere su avidamente ciò che di buono crediamo via via di cogliere nelle dichiarazioni di personaggi in vista, o che dovrebbero contare (in un'ottica filantropica, anche se gli speculatori alla Soros, o che si chiamino Rockefeller, Bill Gates, Bezos o Musk poco importa, si sono impossessati perfino del termine «filantropia»). Non potendo noi cittadini sapere cosa realmente frulla in testa al personaggio di turno ci affidiamo unicamente alla saggezza delle parole da lui dette/scritte. Se poi dietro quelle parole si nascondano intenzioni tutt'altro che filantropiche è difficile dirlo, almeno fin tanto che quel personaggio non abbia svelato le proprie carte, per esempio mettendosi in politica e assumendo a propria volta atteggiamenti non proprio benevoli verso il popolo, in quel caso anche da lui governato.

Per un verso o per l'altro (non fosse che per il fatto che è donna), oggi tutti sembrano inclini a elogiare l'attuale Presidente del Consiglio, salvo alcune critiche di normale amministrazione sulle sue presunte idee fasciste (ma poi che importa dal momento che è donna?). Se il «Militare» di turno viene infamato da giornalisti più inclini a parlare di moda che di cose serie (o più serie), nel momento in cui egli afferma che l'immigrazione «impoverisce i Paesi d'origine privandoli delle risorse più preziose: quelle umane. Perché chi scappa sono soprattutto i laureati, i professionisti, quelli che sanno fare qualcosa» (non i veri disperati del Globo - aggiungo io - quelli che nessuno va a cercare nelle terre martoriate dove forse gli opulenti occidentali, e non solo, preferiscono armare i dittatori di turno piuttosto che organizzare in loco «lotte di liberazione» per favorire gli oppressi), si dimentica che nel 2019 il «Razzista» Viktor Orban è stato ospite di Atreju (così viene definita la manifestazione politica giovanile della destra italiana che dal 1998 si svolge nella capitale, nel mese di settembre per la precisione). Ne fa accenno la stessa prima ministra in «Io sono Giorgia» (pag. 42). Ma, come testimoniano le mille interviste su radio, tv e giornali, se Giorgia Meloni parlava con grande enfasi di «blocco navale» sembra che tutto sia caduto nel vuoto, forse perché la distanza tra una campagna elettorale e l'attuazione oggettiva di programmi solennemente promessi e ripromessi è abissale (direi oltre le più fosche previsioni!). Questo «mettere d'accordo tutti», salvo qualche scaramuccia messa in scena per mantenere viva l'illusione che nonostante tutto la democrazia continui a godere di discreta salute, potrebbe in realtà essere indice di qualche grosso problema. «Anche qui, il movimento si adeguava cercando di aprirsi. I valori immutati, ma gli strumenti, le proposte, le battaglie attraverso i quali quei valori si difendevano e si costruivano dovevano essere adeguati a una società che cambiava», recita un passo di «Io sono Giorgia» (pagg.53-54). I problemi veri cominciano a manifestarsi quando al mantenimento degli «strumenti» non corrisponde più la difesa della sostanza attraverso quelli preservata e diffusa. Quando parlo di «strumenti» mi riferisco ai modus operandi che possono mutare nel tempo per «adeguarsi» (in maniera resiliente?) alla società che si trasforma; quando parlo di «sostanza» mi riferisco invece ai contenuti filosofici ancor prima che politici (politica = arte di governare; filosofia = amore della sapienza. Ma chi governa può allontanarsi più di tanto dalla «realtà» che il sapiente ricerca rifuggendo da illusioni e menzogne?).

Nel suo libro, che tanto scandalo sta suscitando in «anime candide», il Generale in oggetto biasimerebbe quel progressismo che vorrebbe annullare la tradizione, condannando il «finto buonismo» di quanti si dichiarano a favore dell'immigrazione (per il gusto della provocazione oserei dire dell'«invasione indiscriminata e non controllata», vedi anche «Profugopoli» di Mario Giordano, in cui l'autore pone l'accento sugli «affari» che l'invasione di stranieri ha permesso di attivare in termini di denaro, di voti e conseguentemente di potere. Con risultati evidentemente catastrofici per chi vuol vedere). È forse diventata incostituzionale la difesa dei confini nazionali? «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino» (Art. 52 della Costituzione italiana). E fino a prova contraria esiste ancora una Patria. Ma le Open Society di Soros (il quale certo non rappresenta Dio né in cielo né in terra, mentre sicuramente egli rimane un grande speculatore internazionale e l'Italia ne sa qualcosa) hanno ricevuto mandato di insinuarsi all'interno degli Stati sovrani governati da solidi principi, come quello contenuto nell'Art. 11 della citata Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (...)». Meno male che per risolvere certe controversie oggi inviamo armi in Ucraina favorendo il «comico» Zelens'kyj, autentico burattino del Deep State (come se ciò non fosse ormai chiaro a molti).

Una giornalista di moda ha pensato bene di puntare l'indice contro il Generale (a proposito, ormai nell'immaginario collettivo si sta insinuando l'idea che per risolvere problemi importanti serva un Militare, con o senza Penna d'Aquila sulla cappoccia) accusandolo di incoerenza per il solo fatto che se da un lato egli «idolatra» la Patria, dall'altro stende un elenco di cose che nel proprio Paese non funzionano (denatalità, abbandono degli anziani e, non ultime, le lobby gay che a mio avviso stanno gradualmente assumendo le sembianze di «squadre d'assalto» a difesa della «diversità» di genere, quando invece per altri versi - secondo gli stessi registi - dovremmo «omologarci» sotto ogni aspetto: quello religioso, quello monetario e via dicendo).

In pratica, la giornalista figlia di giornalisti che a quanto sembra detesta i «bigini di scuola media» (bigio = persona che mantiene un atteggiamento ambiguo e indeciso, specialmente in politica, ma poi c'è da chiedersi se la «scelta» debba essere fatta unicamente tra neoliberismo selvaggio e comunismo cinese, estremi che rischiano di congiungersi sotto il nostro naso, ammesso non sia già successo), si meraviglia che il Generale ami talmente il proprio Paese da rammaricarsi del degrado progressivo voluto da forze esterne (e interne). Francamente mi sembra un po' grottesco e puerile pretendere che un uomo delle Istituzioni non si preoccupi della malattia che sta minando alla base la propria Nazione! Ma, come dicevo, oggi va di ...moda mettere al confino chi difende i confini, fossero anche i più leciti e sacrosanti. Così come va di moda l'incoerenza, purché sia funzionale al «progetto» dei novelli apprendisti stregoni dei quali Schwab oggi è il bigio portavoce. Va di moda ammettere tutto e il suo contrario, anche che un uomo delle Istituzioni si presenti quale strenuo difensore della democrazia e dei valori tradizionali proponendosi allo stesso tempo come «influencer» per attirare a sé la benevolenza degli indecisi, per poi dirigerli come un pifferaio magico verso il precipizio dell'omologazione. Per non parlare della strategia di marketing in ambito editoriale, che nel caso specifico sembrerebbe portare linfa soprattutto a una ben nota multinazionale con sede a Seattle. Ovviamente spero sempre di sbagliarmi. Del resto, come dimenticare il caso eclatante dei Beatles, che dichiaravano di opporsi al mainstream ma che proprio sui media mainstream trovavano enormi piattaforme pubblicitarie? Certo, la censura non porta mai bene e tuttavia l'operazione pubblicitaria che ha posto sul piedistallo della storia certi personaggi ha cambiato il corso degli eventi e ciò inquieta molto. Come un abile critico d'arte può costruire un contenitore dentro cui «dare significato» ad opere insignificanti, così gli «eroi» della cultura popolare (per esempio) hanno trovato il loro contenitore ideale proprio all'interno di quegli ambienti e di quegli schemi che essi dichiaravano a viva voce di voler distruggere.

Allora, viene il legittimo sospetto che la storia venga costruita per mezzo di mattoni particolari che si chiamano parole, slogan, concetti spesso elaborati artificialmente, messi insieme e incollati dalla pubblicità esasperante di tv, radio, giornali e riviste e con la gentile collaborazione di cinema, musica, letteratura, moda e via dicendo.

La giornalista di Glamour rimprovera il Generale della Folgore anche per le sue presunte contraddizioni in merito alla difesa di «Madre Natura»: se da un lato il Militare afferma che per fare un bambino ci vogliono un uomo e una donna (cosa talmente ovvia che neppure è il caso di spendere commenti), dall'altra auspica la ripresa delle trivellazioni e un consolidamento delle dighe. Si è mai chiesta, la giornalista, se per caso inquina di più una Seicento vecchiotta o un aereo che ogni santo giorno riga i nostri cieli senza che neppure ci si possa fare una domanda? Si chiede quanto potranno inquinare le batterie delle auto elettriche per realizzare le quali siamo capaci di inventare strane «guerre di liberazione»? E le chiamano Smart City... Certo, a volte non sono le parole dette bensì quelle «omesse» a fare i danni peggiori.

Tanto per fare nomi: non ho niente contro Nina Verdelli, né mi entusiasma la pubblicità che si sta facendo intorno al libro di Roberto Vannacci. Mi sembra che a grandi linee il Generale affronti col giusto spirito critico ma anche con parole di saggezza diversi temi d'attualità. Tuttavia, da bigio di scuola media mi sento di non dover sposare alcuna causa, poiché siamo in una fase del mondo in cui il cinema ha preso il sopravvento sulla realtà e quanto ci sarebbe di più genuino viene relegato in qualche angolo buio, al di fuori delle portata dei più. In questo l'IA dei social esercita il suo peso ed è innegabile: a chi fa «il cattivo» viene tolta visibilità. Resta il fatto che dietro gli algoritmi cosiddetti si nasconde sempre qualcuno.

 

                                                                     Davide Crociati

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