Bellaria, 6 Agosto 2015
ANNO ZERO 1
Ne è passata di acqua sotto i ponti, ma i ponti a volte resistono meravigliosamente per secoli o millenni, soprattutto se fatti di solido travertino: E mi risulta che nel frattempo l'acqua non abbia cambiato i connotati: H2O era, H2O rimane. Il sole è sempre quello, anche se il buco dell'ozono crea qualche problema, non solo nella percezione del calore da esso emanato. E se nel 69 la luna fu violata, ciò non toglie che il “satellite naturale” mantenga il suo fascino carico di ricordi e nostalgie, di speranze mai decedute (semmai sopite) e di inquietante mistero, quello del creato, di cui essa era e rimarrà emblematica espressione; i ricordi stessi, quando sono tali e non sconfinano nella patologia o, per usare un eufemismo, nell'immaginazione ipercreativa, sono il risultato di fatti concreti, realmente accaduti, magari interpretati in modo fantasioso ma sulla base di elementi concreti. Potrei continuare all'infinito e aggiungere che “nulla si crea, nulla si distrugge”. Anche se tutto si trasforma.
Avevo 16-17 anni, per me l'anno zero era scoccato e come un cucciolo di animale appena nato ancora non mi reggevo sulle gracili zampette se non a tratti e con fatica, umido e tremante come un fuscello al vento. Avevo deciso di dare una brusca virata alla mia vita, per imprimerle una direzione nuova nella speranza di sviluppare il desiderio di costruire qualcosa. Qualcosa di diverso e di più personale. M'ero appena affidato a un maestro di quelli veri (prediletto da Toscanini, egli stesso direttore d'orchestra per anni fu primo flauto all'Arena di Verona), anche se manipolando quel materiale inedito, la musica, a volte mi sentivo come sull'orlo di un magnifico, vertiginoso precipizio. Era l'inizio di un'avventura straodinaria dagli esiti imprevedibili. Ma proprio quella naturale incertezza mi consentiva di riempire il futuro di splendide fantasie, di sogni da concretizzare. Era l'anno zero. Infanzia e preadolescenza ormai erano un ricordo. Facevo parte a tutti gli effetti di quel mondo complicato conosciuto sotto il nome di “adolescenza”. Ero nella fase in cui un essere umano da crisalide diventa farfalla passando attraverso tensioni e contorsioni.
Eppure quella mattina dal profumo d'estate, illuminata da un sole delicato e benevolo, tensione e serenità convivevano amichevolmente dando vita a una dialettica positiva, all'insegna di un ottimismo che sembrava travalicare i confini di una dimensione esclusivamente catartica. Io e i miei ancora giovanissimi compagni di viaggio sentivamo di avere davanti il meglio della vita, netta era percezione che tutto dovesse ancora accadere, ogni centimetro del nostro corpo esprimeva gioia ed energia, eravamo pervasi da un nuovo, vitale senso di libertà. La nostra meta non era l'affascinante Parigi intrisa di storia e misteri, non era il Canada fiabesco delle “Mille isole” e non era l'America dagli imponenti grattacieli (tutte cose che avrei conosciuto molto più in là negli anni), bensì un piccolo centro di villeggiatura situato a quasi mille metri sul livello del mare. Ciò che serviva a noi, giovani goliardi in cerca di terra promessa, era il contatto diretto e spensierato con una natura dolce e accogliente, avevamo bisogno di trascorre un periodo di quiete, breve parentesi lungo il percorso impegnativo che ci attendeva, per riflettere sulle novità che erano subentrate: mio fratello si era da poco iscritto alla facoltà di medicina presso l'ateneo bolognese, mia sorella e mio cognato erano freschi di matrimonio mentre io, finalmente, avevo buone probabilità di essere ammesso al conservatorio di Cesena, allora sezione staccata dell'Istituto “G.B.Martini” di Bologna. Ciascuno di noi era quindi ansioso di iniziare a scrivere il libro della propria vita, di imboccare la pista di decollo, di provare l'ebbrezza del volo e di conoscere nuovi, lontani luoghi dell'anima.
In quell'anno fu fondata la “Microsoft”, finì la guerra in Vietnam e “Amici miei” fece il suo debutto cinematografico. La RAI incominciò finalmente le sue regolari prove tecniche di trasmissione a colori, ma in molte tv resisteva il bianco e nero. Circa tre mesi dopo (il 2 novembre) i tg nazionali avrebbero dato la notizia della morte di Pier Paolo Pasolini. Nelle mie giovani orecchie appassionate ancora riecheggiavano le note celestiali dell'“Offerta musicale”: il concerto dei Solisti di Mosca alla sala riminese dell'Arengo era stato incredibilmente suggestivo, direi sublime. Un Bach di livello incommensurabile! Sempre in quell'anno “magico” le note dure e intriganti di “Profondo rosso” riempivano le sale cinematografiche, e nella storia narrata da Argento, autentico Hitchcock italiano, individuavo simboli e metafore della mia vicenda personale: come in un sogno freudiano la morte rappresentava la fine di un'epoca e l'inizio di una fase nuova. Il personaggio centrale del film, interpretato da uno straordinario David Hemmings, rappresentava “il nuovo”: in quegli anni Giorgio Gaslini, che forse in parte ispirò a Dario Argento il personaggio Marc Daly, fu il primo titolare dei corsi di jazz presso l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma (1972-73).
Mentre la Fiat 128 bianca seguiva le curve nell'ultimo tratto di strada, ascoltavamo un nastro di “Santo e Johnny” (qualcuno ricorderà la chitarra hawaiana di Santo). che includeva pezzi di musica classica arrangiati e resi più “orecchiabili” proprio da Giorgio Gaslini autore di parte delle musiche di Profondo rosso. Come un bimbo che aveva avuto finalmente il suo agognato giocattolo, tenevo in mano l'astuccio nero e rigido del “Grassi” da studio, il mio primo flauto traverso! L'idea che qualcuno avrebbe potuto ascoltare qualche musichetta uscita dal mio strumento acerbo m'entusiasmava non poco (provo vergogna oggi, pieno di sovrastrutture come sono!).
Eravamo soltanto dei ragazzetti pieni di vitalità e spesso poco inclini ai formalismi.
Quella mattina, lo ricordo come fosse ora, era il 9 di Agosto. Un sabato. Già, nove è il “numero perfetto” moltiplicato per se stesso. così arrivammo a destinazione. All'Albergo cii dissero subito che avremmo dovuto aspettare per avere la camera disponibile. Sul tardi ci venne assegnata una stanzetta in soffitta, forse l'ultima rimasta libera. Era la N°81 (8 + 1 = 9. Ancora una volta il “numero perfetto” moltiplicato per se stesso. Banalità!). Ne approfittammo per fare una camminata panoramica fino alla pineta, così, tutto d'un fiato. Non poco come prima uscita! Il tempo di fare conoscenza con un'altra ospite dell'albergo, una certa Leonida (l'unico nome che farò, reale, che farò).
A dire il vero non ricordo quando la figura angelica di quella giovanissima ragazza toscana mi apparve per la prima volta... Non ricordo neppure se il mio rincretinimento fu immediato o se prima di metterla a fuoco passò del tempo. No, questo non lo rammento. Ma una volta accortomi di lei, sgranando gli occhi come si conviene al cospetto di una siffatta creatura, in me scattò qualcosa, del tutto spontaneamente, così come, in quel tempo, nei miei sogni si formava spesso e in modo spontaneo una figura femminile del tutto simile a quella che avevo dinanzi! Ora, mi rendo conto che affermare ciò possa indurre a credere che io stia elaborando fantasie per fini banalmente narrativi. Non è affatto così.
Era bella, talmente piena di grazia (senza allusione, per amor del cielo!) che il mio cuore faticava a sostenere quella visione! Ma chi avrebbe mai immaginato che una ragazzetta, l'auto lussuosa del cui genitore era targata Firenze (tant'è vero che in seguito continuai a definirla “la ragazza di Firenze”), sarebbe diventata la mia “musa ispiratrice”? Il pensiero va a Dante Alighieri e alla “sua” Beatrice, va a Silvia di Leopardi, a Madonna Fiammetta del Boccaccio (anche se quella mia situazione esulava da una dimensione meramente boccaccesca). Quel nostro soggiorno durò appena 13 giorni, dal 9 al 21 Agosto (data della partenza). In due settimane scarse per me si aprirono le cateratte del cielo, la mia anima si gonfiò di un amore talmente intenso da far gridare “al miracolo”! Eppure fino a quel momento non me l'ero cercata, non mi sentivo a caccia di autoillusioni o di follie simili! Ero perfino conscio di certi pericoli, perché in qualche modo ritengo di essere nato vecchiotto...
Ma sono nato anche un po' “segugio”, e la normale curiosità mi ha portato a fare qualche ricerca approfittando delle possibilità offerte oggi dai social network. Ora almeno conosco/ricordo il nome di quella “rosa”. E vi garantisco, miei ipotetici lettori, che l'allora graziosissima ragazza toscana è diventata una donna splendida, dal fascino cristallino e incontaminato!
E chiudo qui per decenza, poiché ritengo che cullarsi nei ricordi col rischio di adagiarvisi non sia la cosa migliore che un adulto possa fare. Tuttavia consentitemi, ipotetici lettori di queste righe, di esprimere una convinzione: da quell'essere meraviglioso trassi una grande forza il cui effetto di inerzia durò per diversi anni. Poi, non rivedendola più, con un dolore autentico nell'anima (si dice che ognuno debba portare la sua croce), le mie notevoli ambizioni che molti ritenevano più che legittime, i miei entusiasmi, si affievolirono. C'è chi dice che avrei potuto fare molto, nel campo della musica. E un po' immodestamente credo sia vero. Ma, credetemi, quando si viene folgorati anzitempo da una “visione” così coinvolgente, per dover vivere il resto dell'esistenza nel grigiore della normalità (che per altro ho sempre cercato di tenere lontana), viene il momento in cui neppure il suono di un'arpa può lenire il dolore...
Scherzi della vita !
Davide Crociati
P.S. : ...dopodiché, nei primi anni 80 Claudio Baglioni volle rassicurare tutti prevedendo per ognuno "un gancio in mezzo al cielo". Beh, ad essere sincero di ganci ne ho trovati molti, ma ho preferito appendervi prosciutti e salami...