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                                                                       Bellaria I. M., 26 Aprile 2019

 

Seconda Riflessione sui Muri

 

A destra, come in centro e perfino a sinistra, hanno capito che la certezza della pena è ormai diventata uno dei punti cardine di una giustizia in fondo figlia della democrazia, la quale come ben sappiamo è sempre “troppo umana” in tutte le sue declinazioni. Ma le carceri sono fatte di pareti solide e di inferriate alle finestre, non certo di cartapesta né tanto meno di pasta frolla. Fermo restando che le mura possono essere semplicemente quelle di casa (leggasi arresti domiciliari), purché per ovvi motivi circoscrivano uno spazio delimitato e quindi “controllabile”.

Gli stessi partiti/movimenti politici hanno un loro ambito circoscritto che consiste nell'insieme dei rispettivi principi pratici ed etici, i quali fanno da riferimento e allo stesso tempo costituiscono il necessario collante affinché non vi sia dispersione di soggetti, o addirittura una loro migrazione verso spazi di pensiero e di azione paralleli o distanti.

A volte sembra che per la destra tanti valori tradizionali rappresentino punti fermi (valori che spesso, a mio avviso, affondano le radici nella profondità della natura umana) e che per i coiddetti progressisti il dogma dei dogmi consista nell'assioma secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge, poiché tutto si trasforma. Fermo restando che la trasformazione dell'abitante uomo in qualcosa di molto diverso (vedi entropia) deve ancora giungere a compimento anche se, stando all'evidenza dei fatti, l'autostrada giusta è stata imboccata ormai da tempo (e non mi riferisco necessariamente alla questione ecologica mondiale, vedi Greta e relativi gretini). Su un piano diverso, le trasformazioni possono anche portare la materia a suo tempo ideologizzata a ricomporsi in maniera sconveniente con tutte le conseguenze possibili. Se da una parte si ipotizza che valori irrinunciabili esistano o debbano esistere (forse non è la stessa cosa) dall'altra domina una “verità” centrale che trascina verso la convinzione opposta.

Mi rendo conto che sto illustrando una visione semplicistica e sicuramente imprecisa quanto incompleta di uno dei possibili meccanismi mentali (bruttissima espressione!) che stanno alla base delle scelte politiche e/o ideologiche. Comunque la si voglia mettere sono dell'idea che i limiti facciano parte della nostra natura e della natura animale in senso lato. Anche in questa modesta riflessione, quindi, il Muro viene inteso come limite o confine. Oggi si gioca molto coi termini, spesso scomodando categorie del passato (come dice qualcuno) e non raramente il concetto di limite viene talmente trasfigurato che spesso finisce per assumere i contorni di un significato anche molto lontano da quello originale.

Ma proseguiamo in questa riflessione, che forse a qualcuno potrà sembrare un minimo interessante proprio perché non è prodotta da una mente particolarmente erudita.

L'idea delle mura carcerarie non rende merito alla reale utilità che le barriere protettive più o meno visibili hanno nella vita di tutti noi.

Detto ciò, proviamo a immaginare che cosa sarebbero le sale operatorie, decisamente più sicure di quelle ricavate in un ospedale da campo, se non fossero circondate da solide pareti anche grazie alle quali è possibile ricreare un ambiente opportunamente sterilizzato, o se d'inverno le scolaresche dovessero combattere con il gelo e la pioggia ancor prima che con la matematica e l'italiano! E come sarebbe diverso il gioco del calcio, per citare lo sport più popolare, se il campo non fosse delimitato da linee ben visibili? Se è innegabile che tutti i giochi di squadra sono espressione di ciò che siamo e quindi delle nostre caratteristiche e necessità più profonde; se si ammette che le partite sconfinerebbero facilmente nel caos e nella violenza qualora non si svolgessero all'interno di spazi ben delimitati e secondo regole molto chiare, con arbitri imparziali e decisi a farle rispettare; non è poi così difficile immaginare cosa possa succedere in qualsiasi ambito umano troppo disorganizzato.

In fondo anche uno Stato è un po' come un “campo da gioco”: ha i suoi confini interni ed esterni, ha le sue leggi e regole a cui bisogna attenersi e se possibile ispirarsi, poiché in molti casi non sono che espressioni di una storia lunga e sofferta. A meno che non si parli di dittatura. Continuando con la metafora sportiva, c'è da chiedersi se sia possibile mischiare il calcio al rugby o la pallavolo alle arti marziali abolendone i rispettivi confini fatti di regole peculiari e di spazi ben delineati e circoscritti. Servirebbe molto tempo per fondere due sport inconciliabili e magari basati su diverse filosofie, per elaborarne un nuovo costruito su nuove basi e caratteristiche. Per sconfinare nel ridicolo significante, immaginatevi un gioco di squadra in cui venissero mischiati il baseball e il tennis, o il judo e il tiro con l'arco. Oppure, paradosso dei paradossi, il nuoto con il fioretto...

Qui vorrei riproporre alla Vostra attenzione un problema oggettivo già esposto in una mia precedente riflessione, seppure in maniera frettolosa e come sempre insufficiente: ritengo di grande importanza che nel mondo di oggi non si trascuri il fattore T (dove T sta per tempo). Non voglio escludere a priori che sia possibile unire il rugby alla danza latino americana (anche se non riesco a immaginare come), ma quanto tempo servirebbe per arrivare a una vera sintesi e quindi a una nuova disciplina sportiva riconoscibile come tale e magari di valenza olimpica?

Spesso a me piace viaggiare per paradossi con lo spirito di chi crede che sul terreno dell'errore o in questo caso, appunto, del paradosso possa spuntare un fiore straordinario a dispetto di chi ragiona col paraocchi della razionalità ufficialmente riconosciuta.

Scendendo dal piano delle fantasie realmente o apparentemente assurde a quello della realtà non è poi così difficile individuare esempi illuminanti che attestano l'importanza delle barriere protettive, dei confini, o di quei limiti che rappresentano evidenti garanzie di benessere, di sicurezza o addirittura di sopravvivenza. Pensiamo solo ai consigli che ci danno i migliori dietologi, ai quali ci rivolgiamo dopo aver preso coscienza che il nostro senso del limite alimentare si è talmente indebolito da renderci antipatici gli specchi di casa, poiché il corpo umano non è una macchina onnipotente! E pensiamo a quanto può essere deleterio l'uso illimitato o a volte anche parziale di droghe e alcool, o a come è più difficile e a volte pericolosa la vita, lungo il tortuoso sentiero di crescita, quando non abbiamo alle spalle una famiglia che faccia quadrato intorno alle nostre fragilità!

A volte mi chiedo che cosa sarebbe il mondo se si riducesse a un unico, immenso campo profughi senza confini e differenze! Ma che dico, differenze e confini si creerebbero comunque, spontaneamente e chissà a vantaggio chi chi o di che cosa, perché è semplicemente impossibile pretendere di cambiare la natura umana attraverso costruzioni ideologiche che mai potranno essere imposte per legge, o magari per qualche ipotetica "volontà divina". Non senza conseguenze catastrofiche (in prospettiva futura). Le metamorfosi dei partiti/movimenti politici non sempre portano a risultati migliori, come si lascia intendere all'inizio di questo ragionamento. Ma andiamo avanti.

I servizi segreti (non deviati) che lavorano per il bene della collettività si proteggono dietro la membrana (si spera impermeabile) dell'anonimato. Altrimenti non sarebbero “segreti” e, in fondo, "deviati per definizione". Punto. Non parliamo delle logge massoniche o delle religioni, o dei sistemi giuridico-religiosi come l'islam che hanno nei rispettivi dogmi i loro muri invalicabili, indebolire i quali può di fatto significare il progressivo allentamento della fede in chiunque abbia scelto una di quelle imponenti costruzioni come propria “casa dello spirito”. Del resto è indubitabile che ogni edificio, materiale o in senso figurato, debba avere solide mure protettive!

Ora proviamo a immaginare che cosa succederebbe se l'oro di Stato trovasse la sua nuova collocazione in piazza San Marco (oltretutto sempre meno italiana) o al centro del Parco “Ciro Esposito”, nel Quartiere Scampia. Un ridicolo esercizio di immaginazione che appare tale (cioè ridicolo) solo perché nessun essere umano dotato di ragione potrebbe considerare seriamente una simile ipotesi! E la Papa mobile potrebbe mai circolare senza protezione in un luogo dove la religione e la cultura cristiana vengono viste come fumo negli occhi? Purtroppo la storia contemporanea ci insegna che un Papa imprudente può di fatto costituire un serio problema già all'interno delle Mura Vaticane, figuriamoci laddove i cristiani vengono perseguitati e uccisi in gran numero!

No, cari  ipotetici lettori, l'essere umano non ha le ali per poter volare ma nonostante ciò continua a illudersi di saper tradurre sul piano della realtà le proprie fantasie utopistiche, le cui radici spesso affondano nel terreno dell'insicurezza, quella infantile, che nel tempo si trasforma in ciò che oggi usiamo definire “buonismo”. In pratica, “buonista” è colui o colei che cerca disperatamente di lenire i pericoli che lo/la circondano assumendo un atteggiamento mite, pensando (illudendosi) di stemperare l'aggressività degli aspiranti dominatori, i quali evidentemente hanno ben altri disegni o progetti che quello di tendere la mano a chi si aspetta comprensione e tolleranza, per debolezza e quindi per paura di soccombere. Sappiamo tutti che la violenza va arginata, così come cerchiamo di arginare la natura quando si mostra violenta, sorda e insensibile alle nostre esigenze.

Dall'utopia si rischia sempre di sconfinare nel suo contrario, cioè nella distopia. Pertanto anche l'idea di un'accoglienza illimitata e giusta nei contenuti rischia di tradursi in una società indesiderabile, se non addirittura spaventosa, perché non tutte le persone e non tutti i popoli (che sono fatti di individui accomunati da una storia a volte profonda, da una religione e da determinate filosofie) sono animati dallo stesso spirito di fratellanza. E qui ritorna come un mantra l'idea che il fattore T oggi rappresenti un pericolo autentico: poche migliaia di profughi non sarebbero un problema, ma se milioni di persone senza nome riempissero il territorio nazionale in un tempo troppo breve “accoglienza” finirebbe per fare rima con “disastro”. I primi a temerlo sono i nostri stranieri regolari e volenterosi, che al pari degli italiani si prodigano per dare alle proprie famiglie un futuro migliore. Sì, sarebbe un disastro sociale senza precedenti, per tutti, e non occorre essere un genio per capire che la preoccupazione di molti italiani, piuttosto che di molti statunitensi, ecc., non viene dalla pancia ma dalla testa pensante (di cui la natura ci ha dotati, fino a prova contraria).

Ho già espresso in altre "riflessioni" il mio pensiero rispetto all'uso improprio della parola “razzismo”, da alcuni brandita come fosse una scimitarra per dissuadere chi pensa con la propria zucca dal proseguire lungo il “pericoloso” sentiero dell'onestà intellettuale. Porre in atto questa insana opera di dissuasione equivale a erigere un solido muro sulla cui facciata visibile sono chiaramente leggibili, scritte in rosso sangue, verità talmente parziali da meritare il declassamento a “presunte verità” se non a “false verità”.

A volte penso che i muri siano come i colesteroli: c'è quello cattivo (LDL) che va combattuto, ma natura vuole che ci sia anche quello HDL, definito “buono” perché svolge addirittura un'azione protettiva, seppure con tutti i limiti che la natura sempre impone.

 

                                                                 Davide Crociati               

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