Il fattore B
(quando si danno i numeri...)
Non sarà un caso se le targhe automobilistiche che mi attirano di più sono ancora quelle che iniziano con le lettere DB / BD; non è un caso se nella somma dei numeri di dette targhe cerco spesso d’individuare il 13 o il 26, il 25 o addirittura il 30 (ma, mentre i numeri 13, 26 e 25 sono da me percepiti come “veniali”, il numero 30, data la situazione attuale, mi risulta alquanto dissonante e un po’ “luciferino”). Ma è naturale che, mentre per alcuni (o per molti) il n. 13 “porta sfortuna”, per me rappresenti un numero fortunato nella misura in cui “certi incontri” lasciano ricordi carichi di energia utilizzabile anche a posteriori (a livello creativo, ecc.), precisando che nella circostanza specifica la cifra in questione non rappresenta altro che la somma delle lettere che compongono il mio nome e quello dell' “altra persona”. Follie della mente, o più semplicemente “tecniche per mantenere vivi i ricordi” in attesa di chissà cosa, nella consapevolezza che la vita può serbare le più grandi sorprese e che farsi trovare impreparati è da stupidi (alibi diabolico figlio d’un pensiero “troppo aperto” e quindi nichilista?). La vita interiore di un individuo è fatto anche di lettere e numeri “significanti”, inutile negarlo. E proprio attraverso questi elementi essenziali quanto (a volte) carichi di “armonia” rischiano di emergere freudianamente verità interiori inconfessabili, da nascondere alla parte di sé troppo coinvolta nel “Super Io”. Quando si dice “dare i numeri”…
Nonostante la mutata condizione, e al di là di certi doveri che la vita impone, il ricordo rimane qualcosa di prezioso che può acquistare
concretezza nel momento in cui viene esternato, così come l’idea del pittore si concretizza in un quadro destinato a trovare collocazione pubblica in qualche museo perché sia sottoposto al giudizio
di tutti, e perché permetta a chiunque decida di ammirarlo e apprezzarlo di recuperare dall’inconscio emozioni analoghe a quelle provate dall’autore: la comunanza del sentire restituisce all’opera, o
meglio, a ciò che essa rappresenta, un significato universale rendendo “più sopportabile” la perdita materiale che nell’inconscio del pittore ha lasciato una scia di sofferenza. Numeri e lettere
diventano allora strumenti necessari alla memoria, la quale può assumere una vera e propria funzione terapeutica perché permette di mantenere più uniti passato e presente, la cui risultante è
proiettabile sullo schermo d’un futuro immaginario dai contorni realistici (in virtù di ciò che effettivamente “è” ed “è stato”).
…in certe serate uggiose e silenziose, disturbate solo dal rumore del mare e dal rombo tranquillo e infrequente di qualche automobile di passaggio, quando in uno strano gioco di luci i lampioni
gialli di via Sebenico dialogavano con quelli bianchi e più freddi di viale Panzini, situati oltre la ferrovia, m’incamminavo lentamente per non sciupare quella breve attesa fatta di pensieri
sovrapposti affogati nell’adrenalina: pensavo a come poter conciliare argomenti prevedibilmente diversi nel dialogo con quello spirito spiccatamente artistico, nella speranza di non deluderla o
quanto meno di non perderne la preziosa amicizia. Quando l’indice titubante affondava nel campanello e poco dopo rispondeva una voce chiara e ansiosa, ogni volta mi sentivo a un bivio terrificante:
da una parte vedevo con chiarezza la comoda e un po’ egoistica libertà del single incallito e impenitente (quale ero), dall’altra intravedevo con timore un’immagine nuova di me stesso, dal contorno
vago, attraente e repellente in egual misura: mi vedevo alle prese con due piccole creature per nulla autosufficienti, immaginavo la loro giovane madre intenta a scaldare il latte del biberon, il
vuoto d’idee nella mia testa indurita da anni di vita licenziosa e un po’ selvaggia, i miagolii dei “batuffoletti” nella culla, e tutt’intorno le tele dure e sofferte, un po’ espressioniste, della
giovane artista appena uscita dall’accademia di belle arti. Cercavo di capire come in quel contesto nuovo avrei potuto sviluppare la mia creatività disordinata e un po’ asinina (ricordate l’asino di
Buridano che muore perché non sa scegliere tra due mucchi di fieno?). Ogni volta la ragazza veniva ad aprire personalmente il portone d’ingresso di colore rosso bordeaux per poi farmi strada lungo
una scalinata ripida e interminabile fino alla mansarda dove alloggiava lei coi figli, fra il disordine di tele ancora fresche e di colori sparsi qua e là, di giochi in terra già utilizzati e mai
risistemati e libri d’arte dalla copertina lucida e dall’aspetto robusto e impegnativo. A volte da un lettore cd grigio chiaro usciva una musichetta spagnoleggiante che difficilmente riusciva a
toccare le mie corde interiori (abituato com’ero a ben altro!): in ciò vi coglievo l’ingenuità della bionda pittrice che forse sull’onda di quelle note “troppo semplici” sperava di attirarmi nella
sua sfera affettiva. Così iniziavo a provocarla evocando qualche autore dodecafonico dal nome difficile puntando sull’efficacia degli “opposti”, cercando di ripristinare la distanza iniziale nella
speranza di poter prendere meglio “la rincorsa” al momento giusto, allora sì mosso da intenzioni prevedibilmente poco spirituali… Ma qualcosa, non saprei dire cosa, mi frenava: forse la presenza
delle due creature che nonostante tutto rendevano unica e magica l’atmosfera di quella casa. L’idea di diventarne il padre, seppure adottivo, mi riempiva di emozioni forti e contrastanti. Inoltre,
quella somma di odori dolciastri che contribuivano a schiacciare le mie velleità di scapolo convinto sotto il peso di un’atmosfera complessivamente troppo intima e familiare frenavano in modo
considerevole lo slancio erotico che ogni volta mi sospingeva fin lì. Eppure quella ragazza io la volevo! Le sue proposte di “allargare la famiglia” mi lusingavano assai più di quanto dessi a vedere
e confesso che il “tiramolla” interiore in me si trascinò per parecchio tempo! Anche se il nostro era un rapporto ancora libero, un po’ di amicizia un po’ di complicità in nome dell’arte (così poco
considerata in questa Romagna materialista che diede i natali a Fellini così come fu una stalla a ospitare il neonato Gesù), un rapporto “di attesa”, per rendere meglio l’idea, una certa volontà di
andare oltre si stava facendo strada, tant’è vero che alla guida della mia auto davo spesso “quei numeri” (tranne il n. 30 che ancora non era “nei fatti”). Ricordo soprattutto il lume di candela che
durante le gustose cene a base di pesce cucinato con estro rischiarava appena l’ambiente: quando la luce tremolante della fiammella produceva effetti romantici e antichi sui muri in parte dipinti
dalla giovane pittrice, il dialogo iniziava timidamente per poi espandersi fino a toccare arte e scienza, lavoro e famiglia, passato e futuro… La parte del nostro “rapporto” che ancora assumeva i
connotati d’una amicizia in crescita ci portava a “svelare” reciprocamente particolari delle rispettive vite che più difficilmente potevano essere approvati dalla parte intima di tale “rapporto”, a
testimonianza del fatto che comunque la nostra voleva essere una relazione cauta e aperta a ogni possibilità, forse per evitare appesantimenti prematuri che avrebbero potuto comprometterne un esito
favorevole: le due parti erano ancora in fase di studio. Quando i pargoletti erano a nanna nella cameretta attigua mi sorprendevo spesso ad ammirare rapito i suoi occhi chiari che brillavano
rischiarati dalla fiammella intima e suggestiva, e se lei mi chiedeva spudoratamente cosa facessi di bello nella vita oltre a innamorarmi delle pittrici, sentivo il cuore stringermi in petto e mi
dicevo: “ci siamo, questa parte in quarta!” Allora una certa timidezza preventiva riemergeva con prepotenza dall’inconscio mostrando a tradimento i suoi aculei pungenti, per ricordarmi con severità
che nell’altra stanza c’erano loro, i “puffetti” miagolanti e bisognosi di tante cure, che la bionda ragazza dagli occhi azzurrissimi ebbe da una precedente relazione, per altro “fugace”: lui si era
spaventato e pensò di non volersi assumere responsabilità, così preferì eclissarsi con la complicità della famiglia... E lei, ritrovandosi sola col dolce e pesantissimo fardello, pensò di doversi
attrezzare per evitare ai figlioletti e a se stessa un futuro incerto dal momento che neppure la sua famiglia mostrava di saperla o di volerla aiutare nel modo giusto. Così mi trovai a valutare “pro
e contro” nella prospettiva di dover prendere prima o poi una decisione vera e onesta. Non fu facile, vi assicuro! Volevo quella ragazza ma temevo la mia inadeguatezza. Persino entrambi i miei
genitori vedevano di buon occhio la giovane artista dallo sguardo sveglio e intelligente che avevo incontrato per la prima volta in occasione d’una sua mostra di pittura e scultura, a San Mauro
Pascoli. Qualche tempo dopo quel primo incontro un po’ sbrigativo e superficiale ebbi la spudoratezza d’inviarle una lettera nella quale esprimevo la mia opinione sulle opere che avevo visto in
esposizione, lasciando intendere che non mi sarebbe dispiaciuto incontrarla di nuovo e in privato per conoscerla meglio. A distanza di mesi m'inviò a sua volta una lettera con tanto di numero di
cellulare. Dopo qualche titubanza la chiamai e programmammo il nostro primo vero incontro. Le frequentazioni procedettero a intermittenza per alcuni anni. Poi, un giorno, lei pretese udienza con tono
gentile ma ufficiale e c'incontrammo qui, esattamente dove sono: voleva che una volta per tutte si facesse chiarezza sul nostro rapporto. Per lei fu una delusione, per me l’inizio di un lungo
tormento…
Oggi il 25 è diventato 30, e al 30 devo sottrarre doverosamente il 6 (francamente non so quale altro numero si debba ora aggiungere al 24…). Anni sono passati dall’ultima volta che io e la bionda
pittrice dagli occhi azzurri e dal fisico sottile e spirituale cenammo al lume di candela. La mia situazione è mutata e anche la sua. Non sono più lo scapolo impenitente che nel tempo aveva imparato
ad allacciare con facilità relazioni sentimentali o semplicemente erotiche con ragazze e donne mature. Il matrimonio mi ha reso più assennato e la diversa età mi ha reso sicuramente più saggio. Si fa
per dire. Vero è, infatti, che in determinate circostanze dal mio mondo interiore sgorgano ancora numeri e lettere “significanti”, e che la consapevolezza che la vita può riservare le più incredibili
sorprese induce a tenere vive certe fiammelle interiori, le quali illuminano romanticamente pareti di stanze nascoste nei meandri dell’inconscio. E chissà, forse proprio da quelle “nicchie”
fuoriescono le esalazioni tenui dell’ispirazione artistica…
Davide Crociati