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                                                                   Bellaria, 22 gennaio 2025

 

La Monade

 

All'acme della sofferenza, quando ci si trova davanti a un muro grigio e d'istinto si pronuncia la fatidica frase «Dio, perché mi hai abbandonato?», la mente si apre a possibili scenari rispetto all'«oltre» e di solito ci si affida all'intuito, col rischio di interferenze rintracciabili perlopiù in certe fantasie che con fatica provano a far quadrato intorno a convinzioni più o meno fittizie o costruite.

Così, come l'azzurro del cielo risucchia lo spirito verso uno spazio infinito, in cui si dissolvono dolorosamente le forme di un vissuto fatto di calore umano e di tante certezze provvisorie quanto si voglia, ma funzionali a una crescita interiore, così la nebbia in giornate uggiose, umide e oscure, perde la facoltà di stimolare quell'immaginazione che col bel tempo normalmente s'infrange sul limite dell'orizzonte. La nebbia che difende mille misteri col suo manto grigio e volatile diventa in tal modo una prigione e un senso di solitudine cosmica s'insinua nell'essere non lasciandogli scampo. I pensieri più cupi si affollano e ruminano tristezza, che inevitabilmente si traduce in angoscia: tutto diventa troppo piccolo e allo stesso tempo troppo grande, persone e cose che ci attraversano come fantasmi fuggevoli ed effimeri perdono colore e calore, le voci dei passanti diventano indistinguibili e sembrano non esprimere alcun contenuto. Inizia così un viaggio in mare di notte, una «nekia» che conduce verso il ventre della balena nella speranza, ammantata d'inquietudine, di una rinascita spirituale che forse non arriverà mai: quando il processo d'individuazione si interrompe in maniera brusca e traumatica il viaggio notturno può portare a un esito inatteso e drammatico, forse alla più buia patologia, allontanandoci da quella «pietra filosofale» che per gli alchimisti, secondo Carl Gustav Jung, rappresentava la via della saggezza verso la conoscenza assoluta.

Si dice che in certi momenti la solitudine sia necessaria alla crescita interiore. Secondo Nietzsche «nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano in molti». Il grande filosofo invitava quindi a scegliere. Schopenhauer affermava invece che la solitudine è una fonte di guarigione che rende la vita degna di essere vissuta, aggiungendo che «il parlare è spesso un tormento e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole». Qui si parla tuttavia di un isolamento funzionale, mentre vi sono casi in cui la segregazione non è la soluzione ai problemi dell'anima ma diventa il problema stesso. Ciò accade quando s'interrompe un percorso di sviluppo in un contesto di interdipendenza, considerato che quest'ultima rappresenta il livello più evoluto dei tre canonici ben illustrati dalla sociologia: dipendenza, indipendenza e (appunto) interdipendenza.

A proposito di «completezza». Mentre l'Io rappresenta il centro di un campo delimitato (quello della coscienza), il Sé rappresenta il centro della psiche nella sua totalità (che si raggiunge solo nella riunificazione tra coscienza e inconscio), ed è il prodotto dell'individuazione attraverso il cui processo avviene l'integrazione dei vari aspetti della personalità. Lo psicologo svizzero autore di «Tipi psicologici» diceva che per arrivare a una personalità armonica bisogna conquistare la consapevolezza che «pensiero, sentimento, intuito e sensazione» (le quattro funzioni psichiche da lui teorizzate, quaternità che ricorda il «mandala») devono integrarsi. Considerando gli «equilibri naturali», credo sia sensato non pretendere da un fanciullo, la cui funzione principale (per ragioni facilmente intuibili) è il sentimento, di sviluppare forzosamente la funzione opposta, quella del pensiero (che si identifica con la cosiddetta razionalità, la quale si nutre di «deduzioni logiche»). Se nel bambino viene repressa la funzione nel suo caso superiore e attraverso la quale egli valuta l'esperienza (così come l'adulto in genere la valuta maggiormente attraverso il pensiero), nel tempo essa si manifesterà sotto forma di fobie e ossessioni. Si può forse chiedere a un bambino di entrare nei panni di un adulto o viceversa? Resta il fatto che l'optimus nello sviluppo di una personalità adulta lo si raggiunge attraverso l'integrazione dei «quattro elementi», per cui se un individuo maturo ragiona esclusivamente in termini razionali eludendo il sentimento non segue il sentiero che può condurlo alla completezza, e se vogliamo alla felicità. Mi accorgo che io stesso, mentre scrivo, attingo alla funzione razionale (come si è detto in altri termini anche il sentimento a modo suo lo è), e tuttavia nell'incedere razionalmente sono mosso da energie sotterranee le cui radici affondano nelle oscurità dell'inconscio. Per raggiungere la «totalità» bisogna non solo sapere che qualcosa esiste (sensazione) ma anche sapere di che cosa si tratti (pensiero), se quel «qualcosa» è più o meno buono/cattivo (sentimento), da dove viene e dove va (intuizione).

Detto questo, slegandomi dai tecnicismi psicoanalitici che a volte fanno pensare a qualcosa di «troppo scolastico», senza tuttavia dimenticare che fu Jung a gettare un ponte tra scienza e divinazione (aspirando a raggiungere ciò che si trova oltre i normali sensi e che non possiamo comprendere attraverso il calcolo e il ragionamento) credo che per raggiungere una maggiore consapevolezza l'esperienza sia fondamentale, e quali migliori esperienze di quelle che si sviluppano in un contesto di interdipendenza?

Così, la solitudine viene spesso vista come uno stato caratterizzato da indipendenza, ma può rivelarsi un'autentica «gabbia».

 

                                                             Davide Crociati

 

 

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