Bellaria I.M., 12 Marzo 2025
Ecco perché la musica
Al di là degli stereotipi ho sempre pensato che l’arte, quella dei suoni in particolare, fosse la porta d’accesso a una vita più fluida e quindi a un’esistenza più libera da vincoli e costrizioni. In effetti noto che per i profani soprattutto la musica leggera, intendendo con tale termine la canzone e i suoi sottogeneri, rappresenta una zona franca nel cui ambito tutto è concesso. Basti pensare a trappers come Gionata Boschetti (in arte “Sfera Ebbasta”), i cui testi sono violenti e aggressivi e inneggiano a ogni tipo di reato, mettendo spesso in ridicolo le forze dell’ordine. A volte sembrano “canzoni di mafia” (che pure esistono, ed esiste in merito una bibliografia). Purtroppo lo hanno capito bene le famiglie dominanti, l’ombra dei cui tentacoli sta gradualmente oscurato il mondo (non solo quello occidentale). Mentre per i “comuni mortali” le cose continuano a procedere secondo abitudine e in genere non si preoccupano di cambiare la cosiddetta “normalità” per cercare di accompagnarla verso lidi più sicuri. Alla luce di quanto ho acquisito soprattutto negli ultimi anni, ho maturato quindi la convinzione che la musica (in senso lato) sia un’arma incredibilmente efficace nelle mani di chi ha interesse a orientare l’opinione pubblica senza dare troppo nell’occhio (per molti “Sanremo è Sanremo” ancora oggi, nonostante nel frattempo il contenuto delle canzoni sia a livello di testi che di note si sia non poco degradato). Quando nel giorno della finale di qualche anno fa sono stato con un'amica nella città ligure dei fiori, all’esterno del Teatro Ariston si respirava un clima da luna park, con giovanissimi attori già abili nel calarsi nel ruolo di “neodivi”, pur essendo alcuni di loro ancora sconosciuti al grande pubblico. Al largo, una nave da crociera illuminata da sembrare finta doveva accogliere Fedez in elicottero, ma tutto sembrava una farsa priva di veri contenuti, insomma un’americanata stile Disneyland fatta di balocchi e di luci, di costumi stravaganti e di sorrisi di cartapesta. In compenso, sulla strada del rientro il traffico in autostrada era super congestionato, ma questa è un’altra storia. Ciò che attraverso la lente televisiva acquista “magia” grazie ancora ai pionieri che in Italia dal 1954 diffusero le loro gesta via etere, sul posto tutto appare troppo materiale e costruito. Troppo banale. Il palco allestito fuori dall’Ariston non è diverso da altri palchi sui quali d’estate si esibiscono gruppi e cantanti, ormai una routine consolidata che non lascia molto spazio all’entusiasmo, poiché la semplice curiosità ne ha preso il posto. Una curiosità a volte spicciola, orfana di quell’aura che contornava i protagonisti negli anni 60/70, non tanto per il loro valore intrinseco quanto per la novità che essi rappresentavano nell’ambito di una rivoluzione culturale che sembrava genuina ma che, in realtà, portava già in sé i germi di un nuovo mondo, quello che ora sta disvelando, in accelerazione, i suoi contorni distopici e fin troppo “alternativi”.
Anche ciò che di positivo rimane dal punto di vista musicale rischia di venire utilizzato per finalità opposte a quelle che le persone di buona volontà e di buonsenso si aspetterebbero, per cui non è raro assistere a uno spettacolo cinematografico in cui una colonna sonora accattivante e ben costruita avvolga col suo manto regale una storia intrisa di finte verità destinate a portare linfa a una sterile ideologia. Così, una stupidaggine ben raccontata e reiterata rischia di entrare nella memoria collettiva fino a intrecciarsi, nel profondo, con verità archetipiche. In fasi successive si è portati a difendere tutto o molto di ciò che ha fatto la nostra cultura, nei suoi aspetti genuini e non. Pertanto è mia convinzione che a scuola i docenti non dovrebbero abituare gli alunni ad accettare tutto, indistintamente. Viceversa, dovrebbero orientare l’attenzione degli studenti verso le incongruenze, per aiutarli a capire che una bellissima musica può (quanto meno) distrarre da un contenuto privo di verità. Una musica bella è in grado di toccare sfere profonde del nostro essere, fino a commuoverci, ma se con un abile artificio viene posta in simbiosi con una storia impregnata di menzogne, molti purtroppo cadranno nel tranello e usciranno dalla sala cinematografica convinti di avere assistito alla rappresentazione di una verità attendibile. Forse a Sanremo la dinamica è un po' diversa, nel senso che tante canzoni scadenti (se non di cattivo gusto) entrano nella memoria dei telespettatori che rischiano di apprezzare l’insieme dello spettacolo, fatto non solo di note e di testi spesso d’una banalità sconfortante, ma anche di luci e scenografie avvolgenti, il tutto all’insegna di una tecnologia all’avanguardia (intelligenza artificiale compresa, spesso purtroppo messa al servizio del nulla), in un contesto rituale pagano che crea pathos nella misura in cui vi vengono riprodotte condizioni fortemente dionisiache per le quali non ci si sente più vincolati a quei principi etici che richiedono un forte impegno individuale, anche al prezzo di sofferenze. E sappiamo quanto nel corpo e soprattutto nell’anima sia vietato soffrire, in questa società degli oppiacei e dei sacrifici umani da accettare “in nome della scienza”. La via più facile non è necessariamente quella migliore (chiedere a Johann Sebastian Bach), così come gestire una macchina è meno brigoso che trovarsi alle prese con esseri umani in tuta o in vestaglia da lavoro, ognuno dei quali ha una propria sensibilità ed esigenze fisiologiche e psicologiche che un freddo computer certamente non ha. Anche la semplificazione dei testi e delle musiche delle canzoni sanremesi (mi risulta che gira e rigira gli autori siano pochi e sempre gli stessi, alla faccia della promiscuità) non rappresenta un valore, o lo rappresenta in maniera troppo circoscritta, secondo un paradigma improntato al maggior guadagno possibile unito al minimo sforzo. Tutto viene commisurato al ricavo materiale, quindi pare che qualsiasi cosa debba essere espressione di una filosofia al cui centro imperi il guadagno facile e veloce. Tutto il resto è fuffa. Ovviamente, cambiando paradigma l’intero impianto può essere messo in discussione ed è ciò che i potentati economici non vogliono, poiché a maggior libertà di pensiero e di azione dei popoli corrisponde una minore possibilità di lucrare sui loro problemi e sulle loro disgrazie.
Ora, sulla base di quanto scritto vorrei fare esercizio di riflessione immaginando alcune situazioni di fantasia, ma che tuttavia non si discostino troppo da esempi concreti. Proviamo a miscelare nello stesso contenitore la più bella musica di Ennio Morricone (o di John Williams) e una scena in cui il carnefice diventi la vittima e viceversa ribaltando i valori etici unanimamente accettati (fino a prova contraria). Ebbene, alla fine della rappresentazione una parte del pubblico (immaginiamo che comprenda giovani e giovanissimi, adulti distratti o più o meno inconsapevolmente assorbiti dal sistema) lasceranno scorrere nei propri “canali psichici”, con commozione”, la sostanza fatta di combinazioni intelligenti sotto forma di ritmi, soluzioni melodiche, armoniche, contrappuntistiche e quant’altro fino a lasciarla scivolare dolcemente nelle viscere dell’inconscio, laddove per una sorta di alchimia la “verità numerica” della musica si mescoli a componenti di una storia costruita artificiosamente ma anch’essa all’interno di una struttura sapientemente costruita, nel cui ambito vengano usate parole e frasi di grande effetto, pronunciate da attori di dichiarato mestiere. Esattamente come per la musica.
Penso al caso del Colosseo, opera tanto bella e imponente (ornata da statue, fregi e marmi) da figurare tra le sette meraviglie del mondo moderno. Nonostante ciò, si dice che al suo interno siano morte 500.000 persone e un milione di animali. Morte e bellezza si sono fuse nell’anfiteatro più grande e forse più bello del mondo, e non si può escludere che questa “strana associazione” abbia formato la sensibilità della gente di allora (e per trasmissione di sapere + sentire ai loro discendenti anche lontani), su presupposti terrificanti, in ultimo accettati come “inevitabili”. Tale “ineludibilità” è entrata a far parte dell’immaginario collettivo? Tutto lo fa credere. Poi le società si modellano anche sulla base di esperienze storiche (belle e brutte), e la verità che tali esperienze esprimono, per quanto parziale, si tramuta in leggi e in regole sociali più o meno scritte.
Non è facile sfuggire all’effetto condizionante di una musica di per sé bellissima (come bello è il Colosseo), se il regista che la utilizza, non si esclude in combine col suo produttore, mira a condizionare il pubblico rispetto alla bontà di una certa posizione ideologica (che a dispetto dell’universalità della musica – cosa a cui credo poco a livello contenutistico – rappresenta pur sempre una parte circoscritta della sensibilità umana, vedi “tipi psicologici” del solito Jung).
Oggi ben difficilmente il cinema mainstream assocerà alla figura del “dittatore” Putin una musica che ne faccia emergere aspetti umani o addirittura commoventi. Se guardiamo e ascoltiamo il trailer di “Chiamatemi Francesco”, il film uscito nelle sale italiane il 13 dicembre 2015 (neppure due anni dopo l’elezione dell’attuale pontefice) notiamo invece una struggente associazione musica-immagini che ci costringe a fare i conti con la nostra intima sensibilità, che nel caso specifico diventa un nodo da sciogliere per evitare di cadere nella trappola dell’equazione “commozione=verità”. Ciò ad alcuni è diventato più chiaro nel tempo, soprattutto dopo la famosa frase sulla bontà dei vaccini covid (“vaccinarsi è un atto d’amore”) pronunciata da Bergoglio nell’ambito di una trasmissione spudoratamente mainstream, condotta da Fabio Fazio.
Sembra che il canto riduca gli ormoni dello stress e che aumenti il livello di importanti anticorpi ed endorfine (le quali agiscono sui recettori degli oppioidi, attenuando la percezione del dolore e stimolando la sensazione del piacere). Non è un caso se le star della musica pop sono diventate icone culturali e influencer, avendo condizionato la moda, il linguaggio e i comportamenti sociali attraverso canzoni studiate per inviare certi segnali al cervello, soprattutto al sistema limbico preposto al controllo dell’emotività, col risultato di evocare stati d’animo e sensazioni. Del resto abbiamo numerosi esempi storici di musiche utilizzate dai regimi totalitari allo scopo di alimentare il proprio fascino nell’immaginario dei popoli sottomessi. Quindi, se ritengo che la bellezza in sé sia un valore innegabile, tuttavia l’uso che se ne fa può portare fuori strada chi ne usufruisce, per effetto di associazioni improprie e ingannevoli. Non si può dire che la musica di Wagner sia scadente solo perché Hitler (che ne era invaghito) la utilizzava massicciamente a scopo propagandistico. Si potrebbe dire che se a livello puramente architettonico-musicale Wagner ha scritto capolavori innegabili, il resto è propaganda. Riguardo al caso di “Tristano e Isotta”, non inganni l’ambiguità della quadriade iniziale perché quando un ambiente è saturo (quello tonale nella fattispecie) c’è sempre chi cerca una via di fuga…
Davide Crociati